venerdì 26 febbraio 2016
Lazar: «Le aziende ci dicono che da soli si fa poco»
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«L’Europa delle '4 P' (pace, prosperità, pieno impiego e protezione sociale) è fortemente minacciata e si trova di fronte a un bivio: o sarà capace di avanzare, magari a due velocità, partendo da un’integrazione più forte dei suoi Paesi fondatori e dalla costruzione di ponti tra istituzioni e cittadini, oppure il 2017 (anno del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma) rischia di essere quello della fine dell’Ue». Marc Lazar - storico e sociologo francese, docente all’Istituto di Studi Politici di Parigi oltre che presidente della School of government della Luiss - parla di pericolo «disgregazione » e sottolinea «le difficoltà da parte delle istituzioni continentali a rispondere in modo unitario e fruttuoso alle grandi questioni contemporanee come quelle dell’immigrazione, del terrorismo, della disoccupazione dilagante e di una povertà diffusa». Nel suo intervento al seminario di oggi su 'Etica e impresa nella società connessa e globale' lei si soffermerà sulle crisi delle democrazie europee. Ci sono aspetti critici comuni nei vari Paesi? Gli indici comuni sono tanti: disaffezione diffusa della gente nei confronti della politica, astensionismo in salita, partiti di governo in cui i cittadini fanno fatica a riconoscersi, la crescita di consenso delle forze cosiddette populiste, l’individualismo trionfante e la progressiva perdita di senso comune. Queste varie sfaccettature ci portano a parlare di crisi delle democrazie europee. Ma per capire bene una questione così complessa bisogna analizzare le quattro tendenze, anche contraddittorie tra loro, che la affliggono. Quali sono? La prima è l’ascesa della democrazia dell’opinione pubblica, basata sul leaderismo sfrenato e sulla personificazione della politica. Poi, quasi come reazione, c’è l’aumento dei sentimento di anti-politica. La terza tendenza, apparentemente antitetica con la seconda, è la crescita dell’esigenza di partecipazione da parte di una fetta della popolazione, che non si accontenta più di votare ogni 5 anni ma vuole essere coinvolta costantemente nelle scelte. Infine, c’è la tendenza da parte del- la politica a ricostruire la democrazia liberale rappresentativa, con meccanismi come quello delle primarie, ad esempio, che ci sono in Italia ma anche in Francia, Portogallo e Grecia. Molto del futuro delle democrazie europee dipenderà da quale di queste quattro tendenze riuscirà a prevalere. Crede che il consenso dei partiti populisti abbia già raggiunto il picco massimo o vede ancora margini di crescita? Se non ci saranno risposte chiare a una crisi economico- sociale ancora profonda, alla piaga della disoccupazione giovanile e alla questione migranti, questi movimenti populisti potranno conoscere ancora una progressione. Con un limite: se restano forze d’opposizione, perché quando arrivano al potere, sia a livello locale che sul piano nazionale, i partiti di protesta hanno già dimostrato di andare in grande difficoltà. Quali sono oggi le criticità principali dell’Ue?  È un’Unione delle contraddizioni. Abbiamo un mercato unico ma non possiamo contare su una politica fiscale e sociale armonizzata. C’è una sola moneta, ma senza governo economico. Abbiamo Schengen, però non viene attuata una politica di controllo comune dei flussi al confine. Non stupisce, dunque, che i cittadini siano davvero poco attratti da questo progetto europeo. Perché le istituzioni fanno fatica a trovare risposte adeguate alle grandi emergenze del nostro tempo? Manca un legame forte tra mondo della politica (e dell’economia) e quello della ricerca, che aiuterebbe a trovare soluzioni efficaci. Spesso, infatti, la scienza riesce a cogliere in anticipo i cambiamenti sociali e i fenomeni in arrivo. Che ruolo possono giocare, invece, le imprese per contribuire a creare una società più giusta? L’industria non può sostituirsi alla politica. Ognuna deve muoversi nel suo campo di attività. Il mondo produttivo, però, ha una grandissima responsabilità. In una società sempre più individualista, le imprese giocano un ruolo strategico nel ricordare che non si può far tutto da soli. Devono promuovere una coscienza della solidarietà e proteggere un tessuto sociale tendente a sfibrarsi.
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