mercoledì 16 marzo 2016
Maurizio Franzini, docente di Politica economica all’università La Sapienza di Roma, è uno dei tre autori del libro 'Dobbiamo preoccuparci dei ricchi?' (edito da il Mulino) in cui si fornisce un’approfondita valutazione dei modi attraverso cui si formano le disuguaglianze estreme di reddito nel capitalismo contemporaneo.
 «Incentivi allo studio antidoto all'oligarchia»
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«Non bisogna combattere i ricchi in quanto tali, ma occorre agire alla radice dei meccanismi che adesso consentono alle persone con stipendi elevatissimi di operare in un mercato 'protetto' e privo di concorrenza». Maurizio Franzini, docente di Politica economica all’università La Sapienza di Roma, è uno dei tre autori del libro 'Dobbiamo preoccuparci dei ricchi?' (edito da il Mulino) in cui si fornisce un’approfondita valutazione dei modi attraverso cui si formano le disuguaglianze estreme di reddito nel capitalismo contemporaneo e se ne illustrano le implicazioni a livello sia economico sia sociale. Professore, partiamo dalla definizione. Qual è la soglia oltre la quale una persona si può considerare ricca? Anzitutto va detto che, al contrario di quanto avvenuto per i poveri, a inquadrare questa categoria è stata dedicata finora un’attenzione molto scarsa. Nel volume abbiamo proposto un criterio. Visto che il reddito mediano in Italia è di circa 1.560 euro netti al mese, chi prende il triplo può essere considerato 'benestante', coloro che lo superano di almeno 5 volte 'ricchi', mentre quelli che vanno oltre i 15.600 euro li abbiamo definiti 'super- ricchi'. Lei propone di intervenire su alcuni 'sistemi' poco limpidi ed equi che oggi portano all’arricchimento. Quali sono? In alcune situazioni lavorative si riscontra una sorta di protezione da meccanismi concorrenziali. Non c’è un’effettiva possibilità di 'sfidare' alla pari chi si trova in posizioni ben remunerate. Questo perché ci sono barriere all’entrata, a volte subdole come quella della notorietà (che inopportunamente viene considerata un sinonimo di bravura), oppure la cosiddetta 'trasmissione intergenerazionale' del reddito e dell’istruzione (ovvero l’influenza della famiglia d’origine sulle condizioni dei figli). Cosa si può fare per eliminare – o almeno ridurre – certi 'vantaggi'? Ci sono varie strade. Le due più note sono l’introduzione di tetti alle retribuzioni più alte (di cui in Europa si discute già da tempo) e l’aumento della tassazione per i redditi elevati. Ma ci sarebbero anche altre soluzioni per ottenere risultati nel medio-lungo termine: aumentare le borse di studio per studenti di famiglie meno abbienti e, più in generale, far funzionare meglio un ascensore sociale che oggi è bloccato. Recentemente ha scritto un altro libro dal titolo 'Disuguaglianze inaccettabili'. Qual è la situazione in Italia dal punto di vista della distribuzione del reddito? Molti studi ci dicono che il nostro Paese ha un il livello di disuguaglianza tra i più alti in Europa. Per dare un’idea anche del 'peggioramento' nel corso del tempo basti dire che adesso l’1% della popolazione ricca ha in mano il 10% del reddito totale nazionale, mentre vent’anni fa ne possedeva il 7%. Quali sono le conseguenze che provoca una forbice molto ampia tra ricchi e poveri? Il rischio è quello del capitalismo oligarchico. L’erosione della classe media non va sottovalutata, perché rappresenta un cuscinetto fondamentale. Se in una società restano solo ricchi e poveri, infatti, aumenta in modo esponenziale il potere (non necessariamente economico) dei primi sui secondi.
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