giovedì 21 aprile 2016
L'ex ministro Giovannini: ma la vera urgenza è la povertà
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Le pensioni? Uno dei capitoli da affrontare, ma non la priorità numero uno per l’Italia. Nell’attuale situazione, l’urgenza di intervenire riguarda piuttosto il problema della povertà, anche per i suoi riflessi sulla solidità del Paese e sulla ripresa economica. È in sintesi il pensiero di Enrico Giovannini, già presidente dell’Istat e poi ministro del Welfare. Nella breve stagione del governo Letta ha lavorato all’ipotesi del prestito previdenziale – una via d’uscita dalle rigidità della riforma Fornero con ricadute contenute sui conti pubblici – senza avere il tempo di arrivare in porto. Una proposta tornata ora di attualità. «Peccato, eravamo quasi pronti – ricorda – invece si sono persi due anni per sperimentare e affinare questo strumento». Un intervento sulla previdenza è necessario? Bisogna decidere qual è l’obiettivo a cui puntiamo. Se è quello di mandare in pensione i più anziani e far entrare i giovani, ricordiamoci che ogni anno a fronte del mezzo milione di lavoratori che va a riposo abbiamo più o meno altrettanti studenti che escono dalle superiori, ma anche 2,5 milioni di giovani disoccupati o inattivi. Lo schema del turnover poggia sull’ipotesi che non possano aumentare i posti di lavoro e che gli anziani che escono vengano sostituiti dalle aziende. Invece, dobbiamo puntare a crescere di più ed aumentare l’occupazione complessiva. Quanto costa un intervento e chi dovrebbe riguardare? Le proposte che prevedono un pensionamento anticipato per tutti, ancorché con penalizzazione dell’assegno, costano molto. Nel progetto del prestito pensionistico questo costo era ripartito tra il lavoratore, l’azienda e lo Stato, a seconda delle situazioni. Ad esempio, se è l’impresa che vuole favorire l’uscita di personale può farsi carico, almeno in parte, del costo del prestito. Quando il reddito è troppo basso interviene con maggiori risorse lo Stato. Tra l’altro il meccanismo del prestito dovrebbe incidere sul debito pubblico, ma non sul deficit. Poi bisogna sempre ricordarsi che non tutti i posti di lavoro sono uguali. Per quelli più usuranti restare in attività fino a 67 anni può essere difficile e pericoloso. Una graduazione diversa delle uscite avrebbe un senso. In sostanza secondo lei più che una riforma radicale occorrono misure mirate e con impatto finanziario contenuto. Si. Va scelta la soluzione che garantisca la massima equità con i fondi disponibili. È fondamentale infatti chiedersi qual è la vera priorità del Paese. Quale? In Italia abbiamo 4,1 milioni di persone in povertà assoluta. Il fenomeno colpisce tutte le classi di età, ma non allo stesso modo. Sono poveri il 10% dei minori, l’8,1% degli adulti fino ai 34 anni, il 6,1% fino ai 64 e il 4,5% dei più anziani. Tra i disoccupati sono oltre al 16%, ma anche tra gli operai quasi il 10%. Il governo ha parlato di un bonus da 80 euro per i pensionati al minimo. La convince? Serve una misura meglio articolata, come il Sostegno per l’inclusione attiva (SIA), che avevamo disegnato e sperimentato noi e su cui, finalmente, il governo sta puntando. Tra i poveri 600 mila sono ultra65enni, ma oltre un milione è minorenne e 2,4 milioni in età di lavoro. Si tratta di un problema drammatico che determina un’insicurezza diffusa anche tra gli occupati, nelle famiglie e questo spiega anche la scarsa crescita economica. C’è un forte senso di vulnerabilità, che rende tutti più fragili e spinge verso il risparmio precauzionale. È qui che vanno messe le risorse. Si, in Germania dopo l’entrata in funzione del nuovo strumento di lotta alla povertà il tasso di disoccupazione ha avuto una forte riduzione. È una strada che oltre ad aiutare le singole persone, rende un Paese più capace di reagire agli shock e rafforza l’economia. Infatti, il SIA non è solo aiuto monetario ma si basa su una 'presa in carico' della persona o della famiglia, dalla formazione all’assistenza nel cercare lavoro e all’obbligo di mandare i figli a scuola. Il governo ha puntato su questo capitolo 600 milioni quest’anno e un miliardo il prossimo. Che ne pensa? Sono pochi per 4 milioni di poveri, questo lo hanno detto tutti. Come giudica l’invio delle buste arancioni ai lavoratori? Sono d’accordissimo, anche su questo avevamo iniziato a lavorare. Ma ora bisogna fare un passo in più: dare alle persone l’educazione finanziaria per orientarsi nella previdenza complementare per evitare che diventino preda di speculatori o facciano errori di valutazione.
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