giovedì 10 maggio 2018
Il racconto della storica collaboratrice di don Zeno Saltini, oggi 90enne, che nella sua lunga esistenza ha cresciuto più di 30 figli «Ora grazie a loro sono persino trisnonna»
Zaira Pari, mamma a Nomadelfia (in primo piano)

Zaira Pari, mamma a Nomadelfia (in primo piano)

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«Vivo questa visita di Francesco qui a Nomadelfia come un dono che arriva dal cielo e come un riconoscimento indiretto a quel mandato speciale che tante di noi “mamme per vocazione”, seguendo i suggerimenti di don Zeno abbiamo offerto la nostra vita per far crescere tanti orfani e abbiamo così realizzato una vera maternità a favore di chi ne aveva veramente bisogno di sentirsi figlio».

Sono le prime parole con cui la signora Zaira Pari romagnola, originaria di Torre Pedrera nel Riminese, classe 1928, una vera istituzione qui a Nomadelfia descrive la sua emozione e la sua gratitudine per la visita in questo angolo della Maremma del vescovo di Roma. Un anno speciale questo 2018 per questa “signorina” (che rinunciò al matrimonio folgorata da un incontro nel 1947 con don Zeno) perché simboleggia per lei e per la sua vita di “mamma per vocazione” un anniversario importante: «Proprio quest’anno festeggio i miei 70 anni di maternità, incominciati per la verità alla tenera età dei miei 18 anni – rievoca commossa – e sono più di 30 i figli a me affidati che ho portato su fino alla maggiore età». Un personaggio la signora Zaira soprattutto singolare e unico perché rappresenta qui a Nomadelfia «la memoria viva» di quella generazione (il nucleo storico di coloro che nel 1948 furono tra i pionieri di questa comunità dove non esiste proprietà privata e tutto è condiviso) che visse accanto a don Zeno Saltini (1900-1981) e a Irene Bertoni (1923-2016) la “prima mamma di Nomadelfia”.

Una missione quella di Zaira un donna nubile che decise di spendersi già minorenne, aveva solo 18 anni («allora firmai con la penna rossa le Costituzioni e poi confermate negli anni seguenti con quella nera di restare a Nomadelfia nonostante la contrarietà dei miei parenti perché consideravano la mia vita troppo avventurosa!») e così di aiutare a crescere e a dare una genitorialità vera a tanti figli abbandonati nell’Italia del Dopoguerra. «La mia prima esperienza – è il ricordo commosso – fu nell’ex campo di concentramento di Fossoli nel Modenese e poi proseguita qui a Nomadelfia. A fortificare il senso della mia vocazione alla maternità fu da subito il bacio e le carezza sulle guance dei bimbi a me affidati: lì capii il senso della mia missione speciale».

E confida a tanti anni di distanza: «Sono ancora tanti dei miei figli di allora a cercarmi dopo molti anni. E così ora sono diventata una nonna, bisnonna persino una trisnonna con tanti nipoti nati da coloro che furono i miei figli». Ma la memoria della signora Zaira ritorna proprio a quell’8 marzo di 70 anni fa. «In un solo giorno divenni madre– rievoca – di otto bambine fra i due e i dieci anni». Furono le prime figlie, consegnate, come usa tuttora a Nomadelfia, all’altare durante la Messa, con una formula che si sentirà ripetere ogni volta che le verrà affidato un nuovo bambino. Le parole di Gesù in Croce, dette a Maria e Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio; figlio, ecco tua madre”. Una vita quella di Zaira dal sapore unico. «Andavamo a cercare i figli in orfanotrofi, ospedali, borgate delle grandi città. Ricordo ancora quando andammo a Roma al brefotrofio: tante braccine magre che uscivano dalle sbarre delle culle, in enormi camerate. Quei bambini erano detti scartini noi li abbiamo voluti come figli». Estrae dal suo album di ricordi anche il lutto di un bimbo a lei affidato, Marco, morto di meningite fulminante: «Quanto ho sofferto per lui!».

Se tornasse indietro, signora Zaira, rifarebbe le stesse scelte? La sua risposta è ferma e senza esitazioni, nostalgie: «Sì! Se guardo indietro… non avrei voluto una vita diversa!». E confida ancora: «Vivo queste giornate come un riconoscimento al tanto bene fatto e realizzato da don Zeno, alle sue intuizioni di Vangelo vissuto. Ora che ho 90 anni mi pare di aver condotto la mia vita con una vocazione piena dove non ho rimpianti ma soprattutto avverto gratitudine per essere stata fedele alla mia vita e al mio mandato che come diceva don Zeno è quello di essere solo un punto della sfera. Spero che papa Francesco venendo qui da noi scopra soprattutto questo stile di normalità della nostra vocazione cristiana».


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