lunedì 8 ottobre 2012
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Il cardinale Donald W. Wuerl ha esami­nato i suggerimenti dalle Conferenze e­piscopali di tutto il mondo, e ha sinte­tizzato nel testo del discorso che terrà do­mani le preoccupazioni che i padri sinoda­li hanno portato con sé a Roma. La «Rela­zione prima della discussione» ( Relatio an­te disceptationem) sarà uno dei momenti chiave del Sinodo sulla nuova evangelizza­zione che viene inaugurato oggi da Bene­detto XVI. Al testo, l’arcivescovo di Wa­shington, relatore generale dell’assise, ha lavorato a lungo fino alla partenza per la Città del Vaticano quando, poco prima del decollo, Avvenire lo ha raggiunto. Eminenza, il Papa ha scelto lei, un arcive­scovo americano, come relatore generale: cosa legge in questa decisione? Non sono sicuro che la scelta sia basata sul­la nazionalità. Spero di portare al Sinodo la mia esperienza nella catechesi, in cui sono stato impegnato negli Stati Uniti per mol­to tempo. È di certo un’opportunità straor­dinaria di utilizzare la mia esperienza in u­na società secolarizzata ma che offre anche forti segnali di speranza, come i progressi fatti nel consolidamento dell’istruzione cat­tolica, soprattutto a livello delle scuole pri­marie e superiori. Cosa si deve intendere oggi per "nuova e­vangelizzazione"? Si tratta di reintrodurre al credo molti cat­tolici che hanno perso il fervore della fede. Non si tratta dunque di evangelizzare per la prima volta. Il significato della parola 'nuova' non va letto nel senso che la Chie­sa offre un messaggio diverso da quello of­ferto in passato. Il Vangelo è lo stesso. Nuo­vo è lo sforzo di proclamarlo a persone che si sono allontanate dalla sua pratica, per le quali il Vangelo ha perso significato. La sfi­da è dire a una generazione immersa nella mentalità secolarizzata che esiste un mo­do migliore di vivere. Strettamente legato al Sinodo, il Papa ha indetto l’Anno della fede come occasione per tutti i credenti per ritrovare le ragioni del credere. La riscoperta della fede per­sonale viene prima della nuova evangeliz­zazione? Abbiamo di fronte gruppi diversi di perso­ne, alle quali dobbiamo presentare il mes­saggio in modo consono. Il gruppo che ci impegna maggiormente sono le genera­zioni di cattolici che non sono stati forma­ti adeguatamente nella loro fede negli an­ni Settanta e Ottanta. L’ondata di secola­rizzazione che negli anni Sessanta ha inve­stito il mondo occidentale, ha travolto con­cetti fondamentali come la famiglia, il ma­trimonio, il bene e il male, il bene comune, l’ordine. E ha portato a un decadimento de­gli standard dell’istruzione religiosa. Sem­brava che si catechizzasse senza contenu­to. In qualche modo dovevamo comunica­re l’idea che Dio ci ama senza trasmettere il credo. I giovani invece sono molto aperti e disposti a sentire quello che la Chiesa ha da dire. Il Sinodo giunge a 50 anni dal Concilio: co­sa suggerisce il messaggio del Vaticano II ai padri sinodali? C’è un continuum di fede che parte con gli apostoli. Qui troviamo l’articolazione del­la nostra fede. Il Concilio fu fedele alla dot­trina della Chiesa, ma l’implementazione dei suoi insegnamenti venne fuorviata dal­la corrente di secolarismo nel mondo occi­dentale. Oggi ci poniamo la stessa doman­da dei padri conciliari: come presentare in modo fedele gli insegnamenti cattolici in un modo che sia attraente all’interno di u­na cultura che cambia molto rapidamente.
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