venerdì 25 novembre 2016
Il prefetto della Segreteria per la comunicazione ha aperto il Festival della Dottrina sociale della Chiesa: in rete serve una pedagogia del desiderio e del consumo
Viganò: il mondo dei media? Esprima tenerezza e bene comune
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Nella sua lectio, non ha mai parlato di “grande fratello”, perché, secondo monsignor Dario Edoardo Viganò, la pervasività dei media non conduce necessariamente all’annichilimento orwelliano dell’umano. Il prefetto della Segreteria per la comunicazione ha aperto ieri sera con una riflessione su questo tema il Festival della Dottrina sociale della Chiesa, alternando un codice “alto” («sentiamo dire di vivere un tempo post-mediale, di naturalizzazione della tecnologia, che offre la possibilità di smaterializzare i nostri rapporti») ad uno decisamente più diretto («siamo tutti sotto controllo, attraverso pratiche di sorveglianza a cui non facciamo più caso»).

L’obiettivo? Descrivere il “rischio relazionale” che stiamo vivendo, noi “connessi”, senza per questo smarrire le ragioni della speranza cristiana. Il ragionamento parte da un assunto: che anche nella mediapolis dei nostri giorni, il rapporto interpersonale, ancorché intermediato, non perde valore.

Passando da Netflix alle “profezie” di Rifkin, Viganò si dice convinto che ci sia uno spazio per amare anche nella realtà 2.0 e motiva questa convinzione con il pensiero di papa Francesco: «Anche il mondo dei media non può essere alieno dalla cura per l’umanità ed è chiamato ad esprimere tenerezza». Secondo il prefetto anche «le start up tecnologiche e le multinazionali industriali, forse, hanno necessità di rimettere la centro delle loro operazioni produttive e commerciali la categoria del bene comune, senza rinunciare a struttura e meccanismi impostati sui criteri del 2.0»; se si legge la realtà dei media con le lenti inclusive di questo pontificato, è possibile anche nella mediapolis ritrovare il coraggio dell’identità, piantare il seme della reciprocità che supera la distinzione io/tu, riscoprire - persino - la gratuità. Se questa è la tesi, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, «la Rete non va demonizzata – ha detto ieri sera – è un luogo in cui scoprire nuovi modi per stare con gli altri, senza rinunciare ai rapporti diretti, personali, reali»; il che non significa dissimulare i problemi.

«I media danno origine a una architettura delle relazioni avveniristica che sembra far tramontare modalità relazionali consolidate – osserva Viganò – ma riconoscere la necessità di ricomporre le fratture e avviare una pedagogia del desiderio e del consumo». Soprattutto, forgiarla «con un equilibrio che non nasce da una negazione ma da un’apertura alla capacità di sognare », ovverosia non spingere uomini e donne “connessi” verso nuovi oggetti da consumare ma verso nuovi traguardi da raggiungere. Questo percorso permette di riconoscere il limite dell’essere umano e scoprire l’esperienza salvifica della carità, vero antidoto all’idolatria prodotta dal consumismo.

La Dottrina sociale, è la conclusione, può guidare chi, «non confondendo il proprio “non-tutto” con un “niente”, si sforza in ogni modo di abitare la terra senza per questo volerla conquistare» e anela a «una relazione che superi la contingenza e ci proietti verso l’Infinito». Perché, come ha scritto papa Francesco, «il Mistero infinito si è curvato sul nostro niente assetato di Lui e ha offerto la risposta che tutti attendono anche senza rendersene conto, mentre la cercano nel successo, nel denaro, nel potere, nelle droghe di qualunque tipo, nell’affermazione dei propri desideri momentanei. Solo l’iniziativa di Dio creatore poteva colmare la misura del cuore; ed Egli ci è venuto incontro per lasciarsi trovare da noi come si trova un amico».

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