giovedì 31 marzo 2016
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ROMA Così come siamo abituati a intenderla, «la vita religiosa è finita, fa parte delle 'istituzioni passate'. Oggi c’è bisogno di aprirsi e di frequentare i luoghi comuni, testimoniando come si fa ad essere donne spirituali, come si guarda un uomo e come gli si parla». Padre Marko Rupnik, direttore del Centro Aletti, suona la sveglia e alle 350 partecipanti alla 63ª Assemblea nazionale dell’Unione Superiori Maggiori d’Italia (Usmi) dice che non c’è più tempo da perdere. «L’epoca delle congregazioni e delle opere è superata: quella attuale ha logiche diverse», ha ammonito il gesuita sottolineando la necessità di «manifestare un altro modo di esistere, con una mentalità includente, comunionale ». Occorre «rivelare la bellezza della nostra vita per suscitare la voglia di essere come noi». «Abbiamo da offrire la vita di Dio perché il mondo scopra Dio, altrimenti regnerà o il paganesimo o la dittatura religiosa», ha aggiunto padre Rupnik per il quale «non è in discussione la vita religiosa, ma la vita cristiana». Che, ha scandito, è comunione, relazione. «Dopo secoli di cultura individuale, sono crollati la famiglia, il matrimonio, la vita consacrata e la comunità cristiana si è sfaldata» e ora è il «tempo del post-individuo». Il mondo «ci chiede di mostrare come sarebbe una cultura non individualista», ha continuato il direttore del Centro Aletti, evidenziando che «la missione della Chiesa è manifestazione, è 'teofania', cioè far vedere di quale grazia eravamo destinatari e che la nostra umanità rivela l’amore del Padre». In altre parole, la missione non è altro che «rivelazione, testimonianza». «La missione è la grazia dell’apostolato, che non è tanto organizzazione di attività e servizi, ma grazia di aiutare le persone ad esporsi all’opera dello Spirito che ci trasfigura e ci configura a Cristo», gli ha fatto eco madre Regina Cesarato, presidente dell’Usmi, per la quale «la comunione è essenziale per la missione». Proprio in quest’ottica e per rispondere alle sfide e ai mutamenti in corso, ha detto, «l’Usmi sta procedendo nella sua opera di rinnovamento, tentando di snellire la struttura con metodi di lavoro diversi che possano favorire l’animazione a vari livelli, la partecipazione e una maggiore collegialità». Quello che è fondamentale è «rimanere in Cristo», anche e soprattutto «in questa fase in cui la vita consacrata sperimenta una compressione delle forze, si fa fatica a mantenere le opere pure sul piano economico e la storia impone delle scelte», ha osservato monsignor Giacomo Morandi, sottosegretario della Congregazione per la dottrina della fede, ricordando che «rimanere significa essere nella logica del chicco di grano, che è la logica pasquale». Rimanere infatti «è il verbo che qualifica il discepolo: essere discepoli infatti non vuol dire solo 'essere con', ma 'essere in'», ha spiegato Morandi secondo il quale «questa è la condizione di possibilità perché si sia discepoli e si porti frutto». Per «rimanere vitali e fecondi» bisogna «restare attaccati alla vite» e allo stesso tempo «avere disponibilità e fiducia nei confronti del Padre che opera, taglia, purifica». «L’immagine dell’agricoltore che pota la pianta – ha rilevato il sottosegretario del dicastero vaticano – dice come la vita del discepolo sia animata da un dinamismo per cui il Padre si attiva perché ciascuno possa portare frutto». Ecco allora che «essere discepoli comporta uno sviluppo della capacità di discernere quali sono le potature che aiutano a fruttificare». «Quando si rimane in Cristo – ha concluso – inevitabilmente la pienezza si riversa e le persone intuiscono che c’è una vita nuova». © RIPRODUZIONE RISERVATA ROMA. Ieri il via alla 63ª Assemblea nazionale Usmi
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