giovedì 14 marzo 2013
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​«Un uomo del popolo e per il popolo. Così era Jorge Mario da giovane studente, e così è stato da sacerdote, da vescovo, da grande uomo di fede». Don Anibal Filippini è un vecchio amico del nuovo pontefice. «Un uomo straordinario – dice di lui –, amico dei poveri e degli ultimi. Un pastore integro, che mai ha temuto di dire quel che pensa». Ai potenti di Buenos Aires questa tempra non è mai andata a genio. Don Filippini, che è parroco in una villa, uno dei quartieri dimenticati della capitale Argentina, cita non a caso «le pessime relazioni tra Bergoglio e i Kirchner (l’ex presidente Nestor, morto nel 2010, e la moglie Cristina, attuale presidente, ndr). Nestor considerava il cardinale come il vero capo dell’opposizione». Un dissenso che padre Anibal, come lo chiamano quei cartoneros che vivono di espedienti, riassume pronunciando una frase scandita una volta da Bergoglio: «Bisogna lottare contro le povertà, non contro i poveri!». Parole che sono già "programna" per il gesuita latinoamericano che ha scelto di chiamarsi "Francesco I".«Non abbiamo mai smesso di frequentarci – confida padre Filippini –. Lui è stato un vero esempio per noi sacerdoti nei luoghi più difficili d’Argentina. Un modello di integrità, di coraggio, di forza, soprattutto di carità e generosità con il popolo». Anche per questo i giovani lo amano. «Perché padre Jorge Mario anche quando indicava scelte radicali, egli per primo incarnava un modo di vivere e di credere che non poteva lasciare indifferenti». Frugale nella quotidianità, instancabile nell’azione pastorale. Tra i preti di periferia non era raro, davanti alle difficoltà, sentire rispondere, semplicemente, «facciamo come il nostro vescovo». Che nella pratica cristiana delle comunità cattoliche si traduceva nel non perdere troppo tempo dietro «a certe prassi da protocollo, piuttosto dedicandosi con passione alla cura delle anime, alla difesa dei poveri, anche a costo di scontrarsi con i poteri forti».Padre Anibal se lo ricorda ancora quel simpatico compagno di studi che a San Miguel, nel nord dell’Argentina, divorava la letteratura locale ascoltando qualche tango. «Anche in questo – insiste don Filippini – notavamo già allora quella straordinaria capacità di "ascoltare" la cultura popolare senza per questo rinunciare alle aspirazioni più elevate». E per comprendere, suggerisce padre Anibal, «bisogna ripercorrere gli anni decisivi nella formazione» di coolui che sarebbe diventato il primo Pontefice sudamericano.Nato a Buenos Aires il 17 dicembre del 1936, Jorge Mario Bergoglio ha studiato e si è diplomato come tecnico chimico, ma poi ha scelto il sacerdozio ed è entrato nel seminario di Villa Devoto, il quartiere collinare in cima alla capitale. L’11 marzo 1958 è passato al noviziato della Compagnia di Gesù. Compiuti gli studi umanistici in Cile, nel 1963 è rientrato a Buenos Aires dove ha conseguito la laurea in filosofia. Poco dopo diverrà professore di letteratura e di psicologia, per essere ordinato sacerdote nel dicembre ’69.«È difficile prevedere quale impronta darà al suo ministero petrino», osserva il parroco di Buenos Aires. «Ma, conoscendolo, non faccio fatica ad immaginare un Pontefice che instillerà nella curia e nella Chiesa quel rigore, quella coerenza, quella semplicità nelle relazioni, che sono state per lui il paradigma di una vita improntata a quella carità che si costruisce con la forza interiore, con la prontezza nell’affrontare i problemi, nel più limpido disinteresse personale per ogni forma di potere».Un po’ dispiace, a padre Anibal Filippini, che il suo amico Jorge Mario, «un vescovo che amo, mi mancherà molto», debba allontanarsi dal Paese. «L’ho visto per televisione, e mi ha commosso vederlo Papa. Mi ha commosso anche sentirlo parlare da vescovo, e da vescovo chiedere la "benedizione" del popolo». Un sentimento che pervade le villas. Al telefono la voce di don Anibal viene surclassata, a tratti, dai festeggiamenti dei "cartoneros", quei poveri che in Bergoglio vedevano il loro primo difensore. «Quando lo abbiamo ascoltato, affacciato dalla loggia della Basilica di San Pietro, abbiamo compreso – assicura padre Filippini – che Jorge Mario ha portato a Roma il suo modo di essere pastore. Appunto, di uomo del popolo e per il popolo. E, per come lo conosciamo noi, non poteva che chiamarsi Francesco».
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