domenica 10 luglio 2016
​Mario Primicerio, ex sindaco di Firenze proprio negli anni dell'episcopato del cardinale Silvano Piovanelli, racconta di come il «cardinale parroco» amasse stare tra la gente.
«Uomo del dialogo anche con i lontani»
COMMENTA E CONDIVIDI
Parte da un aneddoto Mario Primicerio per raccontare il cardinale Silvano Piovanelli e il profondo legame che aveva con la comunità fiorentina. «Ricordo ancora che i ragazzi di una parrocchia lo salutarono chiamandolo “Silvano, vescovo alla mano”. Questo per dire lo stile di prossimità e di vicinanza che Piovanelli aveva con le persone benché indossasse la porpora». Ex sindaco di Firenze dal 1995 al 1999, proprio negli anni dell’episcopato del cardinale originario del Mugello, e oggi presidente della Fondazione Giorgio La Pira, Primicerio ha 76 anni. Già docente di meccanica razionale all’Università di Firenze e socio dell’Accademia dei Lincei, è stato un amico di Piovanelli che lo volle nella presidenza del Sinodo diocesano indetto dall’arcivescovo, che lo nominò segretario della Consulta per l’apostolato dei laici e che gli affidò l’organizzazione dell’incontro fra Giovanni Paolo II e il mondo della cultura durante la visita del Papa polacco a Firenze nell’ottobre 1986. «Il cardinale – afferma il presidente – è stato prima di tutto un uomo del dialogo: con tutti i suoi preti e con i laici. Era un pastore che non intendeva camminare davanti al suo gregge, ma voleva stare in mezzo alle pecore. Non è un caso che il camminare insieme sia stato una sua caratteristica che si è espressa ai massimi livelli nel Sinodo diocesano». L’evento si tenne fra il 1988 e il 1992. «È stato un momento di grazia per la Chiesa fiorentina in cui il vertice della diocesi aveva sentito il bisogno di ascoltare ancora più strettamente il suo popolo – ricorda il docente –. Ad esempio, quando nelle parrocchie furono distribuiti questionari o schede da compilare, si volle che nei gruppi di ascolto venissero coinvolti anche i non credenti e i fedeli di altre religioni o Chiese. L’idea era di recepire persino le voci di chi parlava al di fuori della comunità ecclesiale. E non va dimenticata una ricerca statistica realizzata con l’Università sui partecipanti alle Messe». Il Sinodo è stato uno dei lasciti di Piovanelli. «Un po’ come il Concilio Vaticano II per la Chiesa universale – osserva Primicerio – il Sinodo è come un seme che con il tempo sta dando i suoi frutti. Penso alla maggiore partecipazione dei laici alla missione della Chiesa, alla particolare vicinanza dei sacerdoti fra loro e con il vescovo, al rinnovato rapporto con la vita consacrata». Il cardinale “parroco” amava stare con la gente. «E le persone lo consideravano “uno di noi”, si direbbe a Firenze. Lo sentivano un amico a cui era possibile rivolgersi in caso di necessità. Infatti Piovanelli era quasi oberato dalle richieste di colloqui o incontri. Inoltre, quando visitava le parrocchie, la sua presenza era un’autentica gioia per le comunità che si estendeva anche ai “lontani”». E quale rapporto aveva con le istituzioni? «Il porporato nutriva uno straordinario rispetto per la responsabilità dei laici. Lo posso testimoniare nelle vesti di sindaco. Nonostante avessi con lui un rapporto stretto, negli anni a Palazzo Vecchio non c’è mai stata una sua minima richiesta e neppure ha fatto trapelare qualche giudizio, apprezzamento o dissenso sulle scelte dell’amministrazione. Sapeva bene che i pastori hanno il dovere di illuminare le coscienze ma spetta ai laici agire nel mondo ed essere lievito per la società».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: