sabato 20 aprile 2019
Nella Veglia nella Basilica del Santo Sepolcro il richiamo di Pizzaballa alla «notte delle nostre divisioni religiose che ci accecano». L'invito a garantire «uguaglianza e diritti»
La Veglia Pasquale nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme con l'arcivescovo Pizzaballa (lpj.org)

La Veglia Pasquale nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme con l'arcivescovo Pizzaballa (lpj.org)

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«Non celebriamo un ricordo. Anche oggi, qui, Dio ama, crea, libera, conduce, perdona». È l’annuncio che da Gerusalemme – proprio dalla tomba vuota che sta all’origine del mistero della Pasqua – ha fatto risuonare di nuovo sabato l’amministratore apostolico del patriarcato latino, l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa.
Nelle stesse ore in cui il mondo ebraico celebrava il primo giorno di Pesah, la festa della liberazione di Israele dalla schiavitù in Egitto, i cristiani di rito latino si sono radunati per la loro Veglia pasquale. È successo come ogni anno alla mattina, come impongono le complicate regole sugli orari per le diverse confessioni nella Basilica del Santo Sepolcro. Ma nell'omelia – rivolta a tutte le comunità della Terra Santa – monsignor Pizzaballa ha comunque preso spunto dal segno pasquale della notte illuminata dalla luce del Risorto.

«Penso a quanti non riescono a vedere la luce, a causa del buio della loro notte – ha commentato il presule –. Alla notte delle nostre famiglie, divise e separate a causa dell’emigrazione, dalla necessità di lavoro; divise a causa di freddi e cinici calcoli politici; penso alla notte di tanti giovani che faticano a darsi prospettive di futuro; penso alla notte delle nostre divisioni religiose che accecano le nostre relazioni; alle nuove forme di schiavitù nel lavoro dei migranti e dei rifugiati, nelle tante forme di dipendenza». Ebbene – ha commentato Pizzaballa – «oggi ci viene annunciato che questa notte non c’è più, è finita».

È il cambiamento narrato anche dagli altri segni della Veglia pasquale che l’amministratore apostolico ha declinato nell’oggi di Gerusalemme: il fuoco benedetto fa piazza pulita dei «giudizi ingiusti e affrettati», aiutando a «riconoscere il bene» e portare giustizia «agli indifesi»; l’acqua che purifica e che richiama al Battesimo invita a non essere «rabdomanti alla ricerca di fonti improbabili» ma ad aver «sete di Dio e della sua Parola»; il pane spezzato dell’Eucaristia «sazia il nostro desiderio di senso, la nostra fame di giustizia, di uguaglianza, di diritti, di una vita bella e degna». È la Pasqua che con la sua forza torna per rinnovare Gerusalemme e da qui il mondo intero. «Ma non saremo noi a operare questo miracolo – ha concluso l’amministratore apostolico del patriarcato latino –. È da quella tomba vuota, da lì, che tutto è diventato possibile».

Una speranza che in Terra Santa, nonostante le tante ferite del conflitto, tengono accesa anche i cristiani della Striscia di Gaza. Solo venerdì – poche ore prima dell’inizio della festa ebraica e dopo le proteste per il mancato rilascio – l’amministrazione israeliana ha fatto sapere con una nota di aver accordato alcune centinaia di permessi per permettere ai cristiani di Gaza di recarsi a Gerusalemme in occasione delle festività. Si spera che possano arrivare in tempo almeno per la Pasqua ortodossa, che si celebra domenica prossima. Va però aggiunto che anche ieri – proprio nel giorno di Pesah – c’è stato un lancio di razzi dalla Striscia, fortunatamente senza conseguenze. Intanto i fedeli di rito latino hanno vissuto nella parrocchia della Sacra Famiglia i loro riti pasquali. «In un tempo difficile per la Chiesa e per il mondo – ha dichiarato all'agenzia Sir il parroco, padre Mario Da Silva – da Gaza auguriamo a tutti una buona Pasqua di Resurrezione. Davanti al sepolcro vuoto di Gesù Risorto chiediamo a Dio la pace per il mondo e la salvezza».

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