lunedì 22 aprile 2013
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All’inizio degli anni Novanta, quando da Roma si trasferì a Perugia, Clara Sereni fu subito colpita dalla disposizione degli edifici nelle piazze. «Ero abituata allo schema classico, per cui il Comune fronteggia la Cattedrale – spiega la scrittrice, che del capoluogo umbro è stata anche vicesindaco –. Qui invece la geometria è del tutto diversa. Sghemba, se così si può dire. A Perugia il Palazzo dei Priori non guarda il Duomo, che pure è lì a due passi. E non è un’anomalia locale: succede in tante altre località dell’Umbria, per esempio a Bevagna, dove di chiese in piazza ce ne sono addirittura tre».E questo che cosa significa?Che esistono due tradizioni, civile l’una e religiosa l’altra, da sempre compresenti, ma non sempre in dialogo fra loro. Prenda il caso di Aldo Capitini, un intellettuale che nel resto del Paese è molto amato per la sua visione spirituale della vita e della politica. Da queste parti, però, la sua lezione è poco ricordata. E non molto apprezzata, purtroppo.La vedo pessimista.Tutto il Paese è in una condizione difficile e l’Umbria non fa certo eccezione. È stata, di fatto, la prima Regione d’Italia e oggi è tra le più esposte al dissesto idrogeologico. Ha avuto poli industriali importanti, che ormai si stanno dissolvendo. Pure il turismo è in affanno, anche se meno che altrove. Senza dimenticare l’insofferenza, sempre più palese, nei confronti del ceto politico. Qualche segnale positivo ci sarà, no?Un progetto interessante è quello che vede Perugia e Assisi candiate insieme al ruolo di capitale europea della cultura per il 2019. Con i limiti, specie economici, imposti dalla situazione attuale, mi pare che in questo ci sia il riemergere di uno spirito di comunità sul quale occorrerebbe investire di più. All’epoca del mio impegno amministrativo era stata avanzata la proposta delle cosiddette “banche del tempo”, che potrebbero avere una funzione importante nel consolidare i vincoli di buon vicinato. Sarebbe interessante tornarne a parlare oggi, credo.L’Umbria, e Perugia in particolare, ha una lunga consuetudine nel rapporto con gli stranieri.Sì, con gli studenti in particolare. Ma anche qui prevale una logica sghemba. Le istituzioni locali non hanno mai operato in sinergia con le università e gli stessi ragazzi, pur provenienti da tutto il mondo, sono stati a lungo considerati come una sorta di corpo estraneo. Il che non impedisce che, in altri ambiti, si verifichino esperienze significative di integrazione. Penso, tra l’altro, alle iniziative per trasmettere ai giovani immigrati abilità artigianali che rischierebbero altrimenti di andare perdute.E l’elemento religioso?Questa è la terra di san Francesco, lo sappiamo. E nella storia francescana il carisma del fondatore gioca un ruolo rilevantissimo. Allo stesso modo, per quanto mi è stato possibile constatare, anche la Chiesa di oggi ha bisogno di figure fortemente autorevoli per rinsaldare il contatto con il territorio e in particolare con i giovani.
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