sabato 18 maggio 2013
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"Il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità». Parole di svolta, quelle pronunciate lo scorso anno da papa Benedetto XVI alla giornata conclusiva dell’Incontro mondiale delle famiglie di Milano, nei confronti di separati e divorziati. Parole importanti che, se da un lato hanno confermato la bontà dell’impegno pastorale della Chiesa italiana, da anni impegnata a diffondere una linea di accoglienza e di sollecitudine nei confronti delle famiglie disgregate, dall’altro hanno indicato anche ai dubbiosi e ai tiepidi quanto sia importante allargare il cuore delle nostre comunità e avviare iniziative concrete a favore delle persone che portano sulla propria pelle le ferite del fallimento matrimoniale. Soltanto in Italia, ogni anno, ci sono oltre trecentomila persone che, tra separazioni e divorzi, sperimentano quanto sia pesante accettare le conseguenze di un progetto che si infrange e trascina in un vortice di sofferenza e talvolta di disperazione progetti di vita costruiti negli anni con impegno e sacrificio. Le decine e decine di episodi di cronaca di questi ultimi anni, contrassegnati da esplosioni di violenza da parte di padri separati che non accettano la nuova condizione di marginalità all’interno della famiglia, confermano quanto sia urgente un accompagnamento che, accanto agli aspetti umani e sociali, sappia offrire sostegni spirituali e nuove prospettive di fede.In questa prospettiva si inquadra, tra le varie iniziative locali, la «lettera agli sposi che vivono in stato di separazione, divorzio e nuova unione» scritta nei giorni scorsi dal vescovo di Albano e presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, Marcello Semeraro. Parole che segnano il cammino della diocesi laziale sul fronte dei separati e dei divorziati, ormai da sedici anni «una delle esperienze più commoventi e interessanti» di vicinanza alla famiglia.Il titolo della lettera, «Attraversare la porta della fede con cuore ferito», indica con efficacia la situazione spirituale di chi si trova a vivere una condizione in cui si intrecciano delusione e rabbia verso tutto quel mondo di aspettative e di speranze finito in frantumi con il fallimento coniugale. In questo baratro di macerie sentimentali e di sicurezze che si sfaldano c’è spesso anche la fede. Amore e infinito sono un binomio indivisibile. Quando viene meno uno dei due pilastri, anche l’altro vacilla e rischia di franare, rendendo così difficoltoso e amaro il passaggio alla nuova condizione. «La porta – scrive Semeraro – diventa così un simbolo della nostra vita. Una vita fallita è come una porta sbarrata». Ma la porta è anche il luogo dove il Signore ci raggiunge e dove è possibile aprire il nostro cuore nel colloquio con lui e nella preghiera, soprattutto quando l’angoscia e il turbamento – sentimenti spesso dominanti tra le persone separate e divorziate – sembrano prendere il sopravvento. Prendendo spunto da quanto scrive il poeta spagnolo Miguel Hernandez, il vescovo di Albano ricorda che le ferite della vita, comprese in quel grande e misterioso affresco che si compone di vita e di morte, segnano sempre anche il cammino dell’amore. «Non c’è amore senza dolore, perché l’amore si alimenta con il dono di sé. Ed è poi lo stesso amore – annota Semeraro – che rende nobile il dolore, lo trasforma perché permette all’uomo di assumerlo e superarlo». Un auspicio che il vescovo di Albano rivolge a tutti coloro che vivono nella sofferenza della disperazione, perché si rivolgano con fiducia al Signore, per stare insieme a Lui «a parlare insieme un po’ sull’uscio».
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