lunedì 27 maggio 2013
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L’alba di un lunedì di pioggia. Sulle strade in direzione di Milano già si incolonnano le auto dei pendolari. La sagoma del santuario si profila da lontano, nella foschia che sale dai campi. Sono le 6 e 30 e i cancelli sono già aperti. Alcune auto si fermano, i lampeggianti accesi; il guidatore scende, veloce entra in basilica. Appena il tempo di un saluto, e subito riparte. È come una persona la Madonna, a Caravaggio, qui nel Bergamasco. Si passa a dirle buongiorno, e a chiederle che dia un occhio quaggiù. Come faranno in tanti, tantissimi, oggi, domenica 26 maggio, per la festa dell’Apparizione. La prima Messa è alle sette. Una ventina di fedeli. La basilica come un grembo di ombra e silenzio, in questo giorno feriale. Finita la funzione alcuni, insieme, recitano le litanie alla Madonna. Poi, ancora, si dirà un Rosario per l’Italia. Al caffè Giardino, appena fuori dai cancelli, hanno alzato la saracinesca; e già la signora al banco prepara un caffè per un avventore che, però, ancora non si vede. Ma come il caffè è pronto eccolo, puntuale, che arriva: un signore con la barba grigia, un habitué, evidentemente. Altri fedeli appena usciti da Messa davanti al cappuccino brontolano di questo maggio piovoso; poi si salutano, ciascuno al suo lavoro. Un lunedì come tanti. Era un lunedì anche il 26 maggio 1432, quando, cominciando il sole a calare, Giannetta Varoli andava a falciare l’erba verso Misano; e una sconosciuta splendida signora con un velo bianco la fermò. Giannetta rispose che andava di fretta, che le sue bestie aspettavano. (Molto lombardo, molto bergamasco. La gente, qui, è sempre affaccendata in qualcosa). Dovette insistere, la sconosciuta, perché Giannetta si inginocchiasse.Ciò che colpì il popolo fu quella fonte sgorgata dal nulla, e così pura. Che ancora adesso scorre sotto al santuario. Dalle fontane l’acqua viene abbondante, in un gorgoglio generoso. Ti fermi, resti a ascoltare: quello del fonte, dell’acqua che si dona limpida e inesauribile, è la voce di Caravaggio.Dopo la folla festosa della domenica, il lunedì qui è la quiete; mentre appassiscono dolcemente i fiori portati alla Madonna dai pellegrini. Sembra più grande la basilica nella sua maestà, quando è vuota; ma, noti, davanti alla Madonna c’è sempre almeno qualcuno che prega. Uno va e un altro, sconosciuto, arriva: come in un tacito passarsi il testimone. Don Gino Assensi, 58 anni, solida faccia lombarda, è il rettore. Abituato a far fronte alle pacifiche invasioni domenicali («qui – dice – arrivano in certe domeniche anche 35 pullman di pellegrini filippini»), come al silenzio di una mattina come questa, quando il santuario con la sua mole sembra un’isola nel mare della grande pianura. Il fonte, spiega, è una polla molto profonda, e particolarmente pura. Gli esami della Asl che periodicamente analizzano l’acqua la trovano esente dalle tracce di atrazina o cromo esavalente che a volte altrove affiorano, in questa zona anche industriale. Nell’acqua della Madonna, invece, niente.Di certo, è un’acqua buona. Fra poco, ai primi caldi, i ciclisti che arriveranno qui sudati in bici sotto a quei rubinetti si laveranno la faccia, e berranno voluttuosamente. Altri vengono con le bottiglie, o con le taniche, addirittura. Un milione di visitatori l’anno, e 400mila particole distribuite nell’Eucarestia. E nella fila dei confessionali c’è sempre almeno un sacerdote, che aspetta. Don Assensi: «Arriva gente che è lontana dalla Chiesa da anni, e quasi esita a entrare. Ma questo è un luogo di misericordia. Qui si vede che la grazia di Dio davvero muove gli animi».Che cosa, chiedi, spinge i pellegrini? Vengono per un bisogno, o una domanda: nella cassetta vicino alla Madonna, dice il rettore, «troviamo preghiere che implorano una guarigione, o un posto di lavoro; ma anche, in questi tempi di crisi, qualcuno lascia permessi di soggiorno scaduti, o bollette da pagare. E però, anche – aggiunge don Assensi – in molti, più di quanti immagini, vengono a ringraziare». Usanza antica. La testimoniano, nelle stanze della penitenzieria, le pareti coperte di vecchi e vecchissimi ex voto. Ritraggono malati esanimi nel letto, i comodini affollati di boccette di inutili rimedi; e la Madonna sospesa in alto, che guarda giù, e benedice. E carrozze e auto d’epoca uscite di strada, ma illesi passeggeri; e bambini caduti dal balcone, ma incredibilmente salvi. Una costellazione di «per grazia ricevuta» tappezza le stanze (e avverti a Caravaggio l’impatto quasi fisico di questa mole di gratitudine, benevolmente incombente). Nel lunedì feriale incroci i passi silenziosi delle tre suore Adoratrici del Santissimo Sacramento – Filomena, Adriana, Armanda – che gestiscono il Centro di spiritualità e l’accoglienza dei pellegrini e dei volontari che si alternano nelle ore di adorazione in una piccola cappella. Stamani è il turno di una signora con i capelli bianchi. Ha 87 anni («la stessa età di Napolitano», dice orgogliosa). E a bassa voce racconta di quante sofferenze nascoste approdano qui, davanti alla Madonna. Di quella moglie, l’altro giorno, abbandonata con una bambina; di quella nonna che in un incidente ha perso figlia e nipote. «E lei, a queste persone cosa dice?», domandi. «Prima di tutto – risponde – resto a ascoltare. Perché so che ci sono dolori che solo Dio può curare. Io qui in basilica – continua – vedo uomini e donne che vengono a cercare Dio. E posso testimoniare che la gente ha ancora fame e sete di Dio». Ripassi dal fonte, come istintivamente attratta da quella materna penombra. Il mosaico, noti, ha perso due tessere proprio sulla punta delle dita della Madonna; come se fin lì si sporgessero a toccare, le mani dei pellegrini. E quel gettito abbondante e infinito dell’acqua, che ti avvolge. Acqua che corre di giorno e di notte dal profondo di questa terra lombarda, come se del santuario fosse il segreto cuore pulsante.Nei giardino, i tigli centenari sono stati severamente potati. Spicca tra i rami spogli, più nero e nudo, il crocifisso piantato nel mezzo. E cosa verranno a cercare qui quei due coniugi, non vecchi ancora, le facce pallide, a capo chino, senza una parola? Quali dolori portano sulle spalle gli schivi pellegrini del lunedì mattina, quelli che evitano la festosa domenica e hanno il privilegio di restare soli davanti alla Madonna? (Quanti, dicono i volontari che accolgono i pellegrini, vengono qui nello strazio di un lutto).Al fonte, dove ritorni ancora senza quasi pensarci, come condotta da una invisibile corrente, contempli il catenaccio che miracolosamente si spezzò in una notte del 1650, per accogliere in chiesa un pellegrino inseguito dai briganti; e la mannaia che, proprio in un 26 maggio, nel 1520, si inceppò, e miracolosamente graziò un condannato. Antichi legni, e ferri arrugginiti, tempo coagulato in un istante di straordinario. Due pellegrini del lunedì li guardano, zitti - forse implorando che altri cancelli si spalanchino, o di essere da altre condanne liberati.​​
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