venerdì 18 agosto 2017
A colloquio con il vescovo di 50 anni che guida la diocesi divisa fra le province di Pisa, Firenze e Pistoia. «Giovani e famiglia, le priorità. In parrocchia chiunque possa dire: è la mia famiglia»
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È seduto a tavola con 23 ragazzi della prima media che fra poche settimane riceveranno il sacramento della Confermazione. «Mi fa piacere conoscervi prima della Cresima», sorride il vescovo di San Miniato, Andrea Migliavacca. E nel salone della parrocchia di San Michele Arcangelo a Staffoli chiede loro di presentarsi. Quando tocca a lui, si racconta così: «Sono Andrea. Il mio sport preferito è il nuoto che ogni tanto pratico ancora nei ritagli di tempo. Le materie che ho amato di più erano la matematica e la storia. E ho suonato la tromba nella banda di Binasco, il mio paese». Una cittadina della diocesi di Pavia ma alle porte di Milano, distante più di trecento chilometri da questo angolo di Toscana diviso fra le province di Pisa, Firenze e Pistoia che nell’immaginario collettivo è entrato come la “terra delle concerie” da cui passano pelle e cuoio anche dei grandi marchi della moda. Quando il 5 ottobre 2015 papa Francesco lo ha scelto per guidare la Chiesa di San Miniato, Migliavacca è salito all’onore delle cronache con l’appellativo di “vescovo più giovane d’Italia”: aveva 48 anni. Fra pochi giorni, il 29 agosto, ne compirà 50.


Applaudono i ragazzi non appena il presule finisce di parlare. La cena è pronta. Basta con le patatine e i popcorn che fanno da aperitivo e che anche il vescovo mangia. «Per essere il pastore di una Chiesa “in uscita” ci vuole una buona macchina», racconta con una battuta ad Avvenire. Nel senso che «bisogna stare poco nel palazzo vescovile e molto fra la gente, nelle parrocchie, con i giovani, persino nei luoghi di lavoro che visito spesso. Non voglio aspettare che le persone vengano in Duomo. Preferisco essere al loro fianco». Migliavacca lo aveva chiarito fin dal suo arrivo, nel dicembre 2015, quando durante la Messa d’ingresso aveva sollecitato ad «andare a Betlemme», ossia incontro a chiunque. E aveva annunciato che sarebbe stato un vescovo «con le porte aperte». «Chi bussa oggi alla mia porta? – spiega –. La donna o l’uomo di mezza età che ha perso il lavoro. Il prete che vuole parlarmi delle incognite ma anche delle sfide della sua comunità. Un giovane che non conoscevo e che mi ha scritto una mail chiedendo di incontrarmi. In fondo la Chiesa deve sapere prima di tutto ascoltare». Una Chiesa che Migliavacca sogna «in cammino» nella sua prima Lettera pastorale intitolata Con vento favorevole e ispirata all’Evangelii gaudium. «L’immagine mi è stata instillata da papa Francesco. Ciò che conta è essere una comunità che, vivendo la ricchezza della tradizione, si apre a tutti, sa intercettare i bisogni, si confronta con chi la pensa diversamente o ha un’altra appartenenza religiosa. Si tratta di essere una Chiesa consapevole dei propri doni e capace di condividerli».


Certo, San Miniato non è Pavia. «Non conoscevo la zona – confida –. E questo mi ha fatto maggiormente apprezzare le differenze con la Lombardia. A cominciare dal paesaggio». Migliavacca entra nell’episcopio sul colle antico della città che non supera i 30mila abitanti. C’è un trono nel salone. «Ma non lo uso», scherza. Poi si affaccia a una finestra. «Questo panorama segnato dal dolce saliscendi delle colline e dalle vigne è un invito a restare. Poi i ritmi hanno un non so che di rurale, mentre a Pavia si respira un’aria più cittadina anche grazie all’università». E la comunità cristiana qui? «È vivace. Ha voglia di partecipare e di proporre iniziative. Il laicato è attivo. In tutto ciò si innesta un clero con una significativa presenza di sacerdoti stranieri». Fa parte della diocesi anche Fucecchio, la patria di Indro Montanelli che ne parlava come di una terra di divisioni e contrasti. «Mi sono sentito ripetere molte volte che in Toscana il campanilismo è di casa, talvolta anche per giustificare alcune fatiche a lavorare insieme – afferma il vescovo –. Io ne vedo l’aspetto positivo. Perché poter contare su radici salde significa avere a cuore il proprio comprensorio, la propria parrocchia, la propria memoria. Questo, però, deve conciliarsi con una società multiculturale e con una Chiesa che non può fermarsi al campanile se vuole compiere un salto di qualità. Un esempio? La collaborazione fra le parrocchie è indispensabile ed è la strada per offrire proposte più elevate».


Nei suoi scritti Migliavacca immagina comunità aperte, ospitali, amiche. «La parrocchia, poiché non ha etichetta, è per sua natura inclusiva, cioè di tutti, dal momento che tutti vi si possono riconoscere. Ognuno deve poter dire: è la mia famiglia. Ma il contesto sociale sta mutando. Si pensi solo all’elevata mobilità delle persone. Allora la parrocchia deve scrutare oltre i suoi confini e cogliere chi la interpella avendo le giuste antenne per comprendere se qualcuno può restare ai margini». Nella Lettera pastorale c’è anche un richiamo al cardinale Carlo Maria Martini. «Ho voluto rimarcare l’urgenza di mettere al centro la Parola di Dio. Ritengo che ci siano ancora da compiere passi in avanti nella riscoperta della Scrittura soprattutto a livello personale. Basilare è la Lectio divina che come preti dovremmo praticare di più e insegnarla al nostro popolo». Il vescovo si ferma un attimo. Poi riprende: «Va evidenziato anche il ruolo dell’Azione cattolica». Un’associazione a cui lui è molto legato e che lo ha visto assistente di più settori. «Mi piacerebbe che i parroci la promuovessero in ogni comunità. È una scuola di formazione e di servizio laicale vissuto nella Chiesa in modo maturo».


Una delle priorità indicate dal pastore “giunto dal Nord” è il pianeta giovani. Migliavacca ha lanciato l’“Aperitivo con il vescovo” a due passi dalla Cattedrale. Ed è appena rientrato da un pellegrinaggio in Terra Santa con 43 ragazzi. «Non dobbiamo limitarci a una predica. Accanto al compito di educare, c’è quello di vivere assieme ai giovani». E Migliavacca continua da vescovo a indossare il fazzolettone scout e a partecipare alle uscite dei gruppi Agesci (di cui è stato assistente prima a Roma dove studiava e poi a Pavia). «È un’esperienza che mi ha arricchito molto e mi ha permesso di avere un’esistenza più attenta all’essenziale». Altro ambito caro al vescovo è quello della famiglia. «Le nostre famiglie sono segnate sia da questioni contingenti, come la disoccupazione o la mancanza della casa, sia da crisi, difficoltà a dirsi “per sempre”, ostacoli nell’accoglienza degli anziani. Una grande risorsa è rappresentata dall’esortazione apostolica Amoris laetitia che ripresenta la bella notizia della famiglia tenendo conto delle problematiche di oggi. E anche nell’ottavo capitolo viene mostrato il volto di una Chiesa in dialogo che è attenta all’accompagnamento di ogni situazione». Migliavacca è un canonista. Prima di essere vescovo, è stato giudice del Tribunale ecclesiastico regionale lombardo e docente di diritto canonico. Come conciliare giustizia e misericordia? «Per Dio la giustizia è misericordia – risponde –. Ogni volta che in tribunale si cerca la verità, penso che si compia un grande esercizio di misericordia perché al centro c’è sempre la persona che viene aiutata a fare luce su se stessa e sulla sua storia».


Quando è stato nominato pastore di San Miniato, Migliavacca era rettore del Seminario di Pavia. «È stata una notizia che mi ha colto di sorpresa. Stavamo già programmando il nuovo anno per i seminaristi. Ero timoroso, anche per la giovane età. Ma il mio vescovo, Giovanni Giudici, mi ha rassicurato. E ho letto quanto accadeva in un’ottica vocazionale: il Signore rinnovava la sua chiamata». Da qui una riflessione. «La pastorale vocazionale può ruotare attorno a molte iniziative, dai pellegrinaggi ai campi-scuola, ma decisiva è la testimonianza dei sacerdoti che devono mostrare come la vita del prete sia marcata dalla gioia e non dal lamento». Sul petto Migliavacca ha una croce in legno. «Me l’hanno regalata i miei ex parrocchiani ed è stata realizzata dalla comunità monastica di Bose». Nello stemma episcopale compaiono i pani e i pesci. A chi mancano a San Miniato? «A coloro che non hanno un lavoro: se si è giovani, vuol dire non poter progettare il domani; se si è più avanti negli anni, si traduce in una forte preoccupazione per il futuro. Ma c’è anche una povertà fra i giovani che rischiano di perdersi in futili vie di fuga come le dipendenze. Comunque – concluse Migliavacca – i pani e i pesci rimandano al Vangelo. E la gente ha fame di Vangelo. Per questo, come ricorda il Papa nell’Evangelii gaudium, siano esortati ad annunciare Cristo affidandoci sempre meno a certe sovrastrutture e tornando alle fondamenta di quella Parola che trasforma la vita».


CHI E' ANDREA MIGLIAVACCA


Compirà 50 anni il 29 agosto monsignor Andrea Migliavacca, vescovo di San Miniato. Nato a Pavia, vive l’infanzia e l’adolescenza a Binasco, cittadina alle porte di Milano. Dopo il diploma di ragioniere, entra nel Seminario e viene ordinato sacerdote a Pavia il 27 giugno 1992. Va a Roma dove consegue la laurea in diritto canonico alla Pontificia Università Gregoriana e dove diventa assistente ecclesiastico scout. Rientrato nella sua diocesi, si divide fra gli impegni in parrocchia e altri incarichi: assistente ecclesiastico scout, assistente di Azione cattolica (sia diocesano, sia regionale del settore giovani), responsabile della pastorale giovanile e degli oratori, insegnante di religione al liceo, direttore del Centro diocesano vocazioni. Esperto canonista, è negli anni docente di diritto canonico, vicario giudiziale e giudice del Tribunale ecclesiastico regionale lombardo. Quando viene chiamato dal Papa nel 2015 a guidare la diocesi di San Miniato, è rettore del Seminario diocesano di Pavia e diventa il vescovo più giovane d’Italia. Un “primato” passato adesso al vescovo di Saluzzo, Cristiano Bodo, che ha festeggiato 49 anni lo scorso 30 luglio.

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