lunedì 8 aprile 2013
​La misericordia, la pazienza, la tenerezza di Dio devono essere motivo della nostra fiducia, donandoci il coraggio di ritornare a Lui qualunque errore o peccato ci sia nella nostra vita. E’ il cuore dell’omelia ricca di ricordi personali che Papa Francesco ha tenuto ieri durante la Messa di insediamento, come vescovo di Roma, nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Il testo dell'Omelia Il testo del Regina Coeli
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La misericordia, la pazienza, la tenerezza di Dio devono essere motivo della nostra fiducia, della nostra speranza, donandoci il coraggio di ritornare a Lui qualunque errore o peccato ci sia nella nostra vita. E’ stato il cuore dell’Omelia, ricca di ricordi personali, che Papa Francesco ha tenuto ieri pomeriggio durante la Messa di insediamento, in qualità di vescovo di Roma, nella sua Cattedrale, la Basilica di San Giovanni in Laterano.Al centro l'episodio di Tommaso, l'apostolo incredulo che pretende di mettere la sua mano nel segno dei chiodi e nel costato di Gesù, che mette in luce «la pazienza di Gesù che non abbandona il testardo ma gli dona una settimana di tempo, non chiude la porta, attende». E nella citazione del «teologo tedesco Romano Guardini che - ha ricordato Bergoglio - diceva che Dio risponde alla nostra debolezza con la sua pazienza e questo è il motivo della nostra fiducia, della nostra speranza», si ritrova uno dei fili che lega papa Francesco a Benedetto XVI che pure aveva ricordato un'espressione del teologo Guardini, «scritta nell'anno in cui i Padri conciliari approvavano la Costituzione Lumen Gentium,  con una dedica personale anche per me». Queste le parole che lo scorso 28 febbraio Ratzinger aveva rivolto ai cardinali, come una sorta di testamento: «un pensiero semplice» sulla Chiesa che, notava Guardini, «non è un'istituzione escogitata e costruita a tavolino, ma una realtà vivente. Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi. Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo». Sempre citando Guardini, aveva poi aggiunto: «La Chiesa si risveglia nelle anime». Prima della Messa papa Francesco, arrivato a bordo della jeep tra l’entusiasmo della gente che lo attendeva, ha benedetto, nel piazzale antistante il Vicariato, la targa toponomastica che muta il nome del luogo in “Piazza Giovanni Paolo II, Pontefice dal 1978 al 2005”. Dopo la Benedizione papa Francesco è risalito sull’auto, su cui siedeva anche il cardinale vicario Agostino Vallini, è ripartita e ha raggiunto il sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano. Ma il percorso è stato una “sosta continua” per l’abbraccio con i fedeli che non hanno mai smesso di applaudire. La gioia è stata incontenibile e anche la gratitudine quando Papa Francesco entrato in Basilica con la semplicità di un sacerdote che entra nella sua parocchia, stringe a sé uno per uno i disabili e i malati presenti. «Camminiamo insieme nella luce del Signore Risorto» ha esordito il vescovo di Roma, salutando i rappresentanti del Vicariato di Roma, tra cui presbiteri, diaconi, religiosi e laici che poco prima, in una piccola rappresentanza, gli hanno prestato obbedienza. A nome dei fedeli della sua diocesi a rendere l'obbedienza al nuovo Pontefice anche una famiglia con quattro figli. Con i coniugi Marco e Monica Curzi e i loro figli, hanno poi raggiunto la Cattedra per rendere l'obbedienza al Papa anche due giovani, Sofia Presciutti e Massimo Presti, del servizio diocesano per la pastorale giovanile. La domenica della Misericordia è stata l'occasione per il Papa per sottolineare, come già avvenuto in altre occasioni, «quanto sia bella questa realtà della fede: la misericordia di Dio». «Un amore così grande, così profondo quello di Dio verso di noi, un amore che non viene meno, sempre afferra la nostra mano e ci sorregge, ci rialza, ci guida». A declinare la misericordia di Dio il Papa cita diversi episodi del Vangelo: la pazienza di Gesù di fronte all’incredulità del testardo Tommaso che Gesù non abbandona, gli dona una settimana, spiega il Papa e attende: «E Tommaso riconosce la propria povertà, la poca fede. “Mio Signore e mio Dio”: con questa invocazione semplice ma piena di fede risponde alla pazienza di Gesù. Si lascia avvolgere dalla misericordia divina, la vede davanti a sé, nelle ferite delle mani e dei piedi, nel costato aperto, e ritrova la fiducia: è un uomo nuovo, non più incredulo, ma credente». «Paziente è anche lo sguardo di Gesù su Pietro dopo che lo ha rinnegato per tre volte: “E quando tocca il fondo incontra lo sguardo di Gesù che, con pazienza, senza parole gli dice: «Pietro, non avere paura della tua debolezza, confida in me»; e Pietro comprende, sente lo sguardo d’amore di Gesù e piange. Che bello è questo sguardo di Gesù – quanta tenerezza! Fratelli e sorelle, non perdiamo mai la fiducia nella misericordia paziente di Dio». La pazienza è anche quella di Gesù che affianca i discepoli di Emmaus: «Il volto triste, un camminare vuoto, senza speranza» ricorda il Papa,ma Gesù non li abbandona. E più avanti il Papa dirà che Dio non abbandona neanche Adamo perché se nel peccato, inizia il suo esilio lì c'è già anche la promessa del ritorno. «E’ questo lo stile di Dio» afferma Papa Francesco: «Non è impaziente come noi, che spesso vogliamo tutto e subito, anche con le persone. Dio è paziente con noi perché ci ama, e chi ama comprende, spera, dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti, sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci” E’ lo stile anche del Padre misericordioso nella parabola del figliol prodigo, che il Papa, attingendo ai ricordi personali, cita come una fonte di grande speranza. Ma la pazienza di Dio, aggiunge il Pontefice, deve trovare in noi il coraggio di ritornare a Lui, qualunque errore, qualunque peccato ci sia nella nostra vita: “Forse qualcuno potrebbe pensare: il mio peccato è così grande, la mia lontananza da Dio è come quella del figlio minore della parabola, la mia incredulità è come quella di Tommaso; non ho il coraggio di tornare, di pensare che Dio possa accogliermi e che stia aspettando proprio me. Ma Dio aspetta proprio te, ti chiede solo il coraggio di andare a Lui”. Da qui un nuovo ricordo personale: «Quante volte nel mio ministero pastorale mi sono sentito ripetere: «Padre, ho molti peccati»; e l’invito che ho sempre fatto è: «Non temere, va’ da Lui, ti sta aspettando, Lui farà tutto». Quante proposte mondane sentiamo attorno a noi, ma lasciamoci afferrare dalla proposta di Dio, la sua è una carezza di amore. Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti, anzi siamo quanto di più importante Egli abbia; anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a cuore”. Nella mia vita personale, ricorda ancora il Papa, «ho visto tante volte il volto misericordioso di Dio e ho visto anche in tante persone il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù dicendogli: Signore sono qui, accetta la mia povertà. E ho sempre visto che Dio l’ha fatto». Ne nasce l’invito finale che il Papa lascia a una Basilica gremita: lasciarsi avvolgere dalla misericordia di Dio: «Confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore».

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