martedì 19 gennaio 2010
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Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, domenica era in Sinagoga. C’era anche il 13 aprile 1986, quando vi si recò Giovanni Paolo II. Con noi ricostruisce il ricordo, e ricongiunge i significati di quella visita e di questa di domenica di Papa Benedetto XVI.Professore, intanto, la sua presenza segna il rapporto forte che unisce a Sant’Egidio alla comunità ebraica romana. È così?Non potrebbe essere diversamente: gli ebrei di Roma sono una realtà importante. Sono i più vecchi romani di questa città; sono una comunità orgogliosa di avere un proprio rito, il rito italico, e sono gli ebrei più vicini al Papa, anche se hanno molto sofferto, dal 1555, quando Papa Paolo IV costruì il Ghetto. Però resta un rapporto. Qualcosa unisce e qualcosa divide.Le visite in Sinagoga, prima di Giovanni Paolo II poi di Benedetto XVI, sono appunto segni che uniscono...I rapporti tra gli ebrei di Roma e la Chiesa sono cominciati durante la Seconda guerra mondiale, quando molti ebrei furono accolti e nascosti nei conventi. Ho studiato a fondo questa storia nel libro L’inverno più lungo, perché non è una storia minore. Dopo è iniziata un’altra fase: Giovanni XXIII si fermò davanti alla Sinagoga, poi la visita di Giovanni Paolo II. Molti, in modo spiacevole, hanno pensato di fare l’esame a papa Ratzinger nei confronti di Wojtyla, ma quell’evento del 1986 fu una "prima", fu come la caduta del Muro: un evento emozionante. Oggi l’evento di Benedetto XVI alla Sinagoga, che è un evento storico, non è la caduta di un muro, ma la costruzione di un ponte stabile tra le due comunità. Un ponte stabile e importante per lavorare insieme.Come si può lavorare insieme?Bisogna far attenzione agli irenismi facili. Per esempio, quando si parlava di radici cristiane dell’Europa, si parlava di una radice giudeo-cristiana, quasi come se ebrei e cristiani fossero della stessa religione. Come diceva il rabbino Neusner, con il quale Ratzinger dialoga nel libro su Gesù, sono invece due mondi religiosi diversi, ma uniti. Attaccati per un aspetto dal lascito delle Scritture e dal monoteismo (Wojtyla diceva fratelli maggiori), ma dall’altro diversi e divisi. È Gesù che divide. Attenti agli irenismi, quindi, ma attenti anche alle divisioni.Il Papa ha esortato a compiere passi insieme.Nonostante una storia che divide, bisogna avvicinarsi e camminare insieme, ed è per questo che parlo di ponte. I passi da fare insieme sono nel dialogo tra ebrei e cristiani su cose concrete. L’anno scorso con il rabbino capo Di Segni abbiamo fatto un incontro sulla carità e la solidarietà, e Di Segni domenica ha parlato di ambiente con una bella lettura sul creato. C’è poi il comune no all’antisemitismo e a ogni predicazione dell’odio. Non per nulla domenica il presidente Pacifici ha evocato il problema degli stranieri e delle minoranze. La comunità ebraica, proprio perché ha tanto sofferto, è estremamente sensibile alle minoranze. Non dimentichiamo che Di Segni e Pacifici hanno visitato la moschea di Roma e domenica rappresentanti islamici erano in Sinagoga. Infine, c’è la storia e la memoria: il Papa ha portato un fiore dove la città fu ferita: quel 16 ottobre 1943 a ricordare la deportazione degli ebrei. Ogni anno la comunità di Sant’Egidio e la comunità ebraica si incontrano in questo ricordo.Ci sono stati tanti chiarimenti anche a livello storico, come mai ancora tanta incomprensione?Abbiamo assistito a tante polemiche in questi ultimi giorni proprio perché ci avviciniamo a un momento decisivo e costruttivo. Può sembrare un paradosso, ma è così. È come dopo una malattia. I primi giorni sono difficilissimi, però il male è passato. Il ponte comincia ad esserci, per questo ci sono state le polemiche. Per quanto riguarda il dossier storico, che io studio dal 1975, sono convinto che la storia di quei giorni è abbastanza chiara. Vedremo cosa ci diranno gli archivi vaticani, ma è ormai accertato che in quel periodo una gran parte dei conventi e delle famiglie delle parrocchie, che nascondevano la gente, aiutarono gli ebrei. Pio XII spinse e favorì questi soccorsi e prese l’iniziativa. Questa è la realtà, poi ci possono essere giudizi molto differenti, ma questo fa parte della libertà umana. Domenica, Pacifici ha ricordato con dolore l’atteggiamento di Pio XII, e il Papa ha detto che la Santa Sede fece un lavoro discreto. In ogni modo, la giornata di domenica è un evento storico ed è rivelatore della prossimità. Noi siamo condannati a essere fratelli. Da Abele a Caino, da Esaù a Giacobbe e a Giuseppe e i suoi fratelli, le storie tra fratelli non sono mai state facili.
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