martedì 10 maggio 2016
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POMPEI Erano decine di migliaia i devoti della Madonna di Pompei giunti domenica mattina nella città mariana, per la tradizionale Supplica dell’8 maggio. Proprio nel giorno della festa della mamma, si sono raccolti attorno alla Vergine del Rosario come figli ai piedi della «più tenera fra le madri », per affidarle tutte le proprie pene, i dolori, le necessità di un presente sempre più difficile e ricevere da lei l’abbraccio del suo sguardo carico d’amore. La recita della famosa preghiera, composta dal fondatore di Pompei, il beato Bartolo Longo, nel 1883, e la celebrazione della Messa che l’ha preceduta, sono state presiedute dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura e della Pontificia Commissione di archeologia sacra. Nel giorno dell’Ascensione, il celebrante si è soffermato sulla necessità di lanciare il nostro sguardo sia verso l’alto, verso il cielo, come fecero i discepoli dopo che Gesù era scomparso ai loro occhi; sia verso il basso, verso la nostra terra così martoriata ed i fratelli sofferenti. «Siamo invitati – ha spiegato – a rivolgere uno sguardo verso l’alto, verso l’infinito tutto. Questo sguardo, rivolto oltre l’orizzonte concreto in cui siamo immersi, c’insegna che il fiume della nostra vita, dopo aver percorso le varie anse, non ha un abisso di vuoto, un gorgo oscuro in cui si perde. Ha invece una mèta, una luce. (…). Quest’itinerario ha un oltre, che è nella luce, non è nella tenebra e nel vuoto». Ma i nostri occhi non devono mancare di guardare anche attorno e vicino a noi. «Pensiamo in quante case, anche in questo momento – ha affermato ancora il porporato – c’è, per esempio, la solitudine assoluta. (…) E c’è la separazione, la divisione, la lacerazione. O ci sono genitori che vivono nel terrore per i figli che hanno imboccato delle strade di perdizione, travolti dalla droga, dalla violenza, dalla disperazione o anche dall’impossibilità di trovare lavoro. Ecco perché l’invito del cristia- nesimo è un invito alla carne. Il Verbo si è fatto carne. È un invito ad entrare nella storia. C’è questa parola che viene ripetuta continuamente: siate testimoni della vostra speranza, della vostra fede. Vorrei ricordare in questo momento una frase di un giudice che è stato ucciso dalla mafia, Rosario Livatino, di cui è in corso la causa di beatificazione: “Non basta essere credenti, bisogna essere anche credibili”». Proprio a Pompei queste due realtà s’incontrano, perché qui convivono fede e carità. Nel saluto iniziale, l’arcivescovo di Pompei, Tommaso Caputo, ha ricordato, infatti, che «accanto al tempio della fede, il nostro fondatore, il beato Bartolo Longo, volle realizzare anche il tempio della carità, quel complesso di opere sociali che, come una corona di rose, circondano il trono della Vergine per renderle lode e ringraziarla per aver scelto questa terra per spargere il suo amore». Opere sociali che, nel segno del suo carisma proseguono, con forme diverse, ad accogliere orfani, figli e figlie di carcerati, anziani, poveri, diversamente abili, ragazze madri, donne e ragazze in difficoltà, ex tossicodipendenti, migranti, profughi. Al termine della celebrazione, un lungo applauso ha accolto l’annuncio della notizia che, durante il Regina Coeli, papa Francesco aveva invitato i fedeli radunati in piazza San Pietro ad entrare spiritualmente nel Cenacolo per attendere il dono dello Spirito Santo a Pentecoste «in comunione con i fedeli radunati al Santuario di Pompei per la tradizionale Supplica». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il gesto Il cardinale Ravasi e l’arcivescovo Caputo durante la Supplica alla Vergine di Pompei
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