venerdì 14 settembre 2012
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​«La grande aspettazione del Concilio ecumenico, ad un mese di distanza dal suo inizio ufficiale, splende negli occhi e nei cuori di tutti i figli della Chiesa cattolica, santa e benedetta. Nella successione di tre anni di preparazione, una schiera di spiriti eletti raccolti da ogni regione e di ogni lingua, in unità di sentimento e di proposito, ha radunato una ricchezza così sovrabbondante di elementi di ordine dottrinale e pastorale, da offrire all’episcopato del mondo intero, convenuto sotto le volte della Basilica vaticana, motivi di sapientissima applicazione dell’evangelico magistero di Cristo [...] Siamo dunque, con la grazia di Dio, al punto giusto». Così – cinquant’anni fa – Giovanni XXIII nel suo radiomessaggio dell’11 settembre 1962, una vera e propria esortazione alla Chiesa, ai fedeli di tutto il mondo a riflettere su se stessa e sulla sua responsabilità verso gli uomini. Letto alla radio, Ecclesia Christi Lumen Gentium, questo testo da non dimenticare, presenta le attese dell’anziano Pontefice a un mese dall’apertura solenne del Vaticano II, lasciandovi rispecchiare la fede, la speranza e la carità di papa Roncalli.Particolarmente significativo il passaggio in cui Giovanni XXII facendo una sua distinzione circa piani suggeritigli da alcuni cardinali – come il belga Leo Joseph Suenens – ricordava l’impegno del Vaticano II nel privilegiare il tema della Chiesa «Lumen Gentium», considerata nella sua dimensione interna ed esterna. Nella prima il Concilio doveva mostrare che «la Chiesa vuol essere ricercata quale essa è così nella sua struttura interiore [...] in atto di ripresentare, anzitutto ai suoi figli, i tesori di fede illuminatrice e di grazia santificatrice, che prendono ispirazione da quelle parole estreme. Le quali esprimono il compito preminente della Chiesa, i suoi titoli di servizio e di onore, cioè: vivificare, insegnare, pregare».Nella seconda dimensione, si legge invece nel testo del radiomessaggio, la Chiesa «nei rapporti della sua vitalità ad extra, cioè di fronte alle esigenze e ai bisogni dei popoli – quali le vicende umane li vengono volgendo piuttosto verso l’apprezzamento e il godimento dei beni della terra –, sente di dover far onore con il suo insegnamento alle sue responsabilità». Seguiva l’indicazione dei «problemi di acutissima gravità» da sempre sul cuore della Chiesa. Ai quali il Vaticano II era chiamato a rispondere con «chiaro linguaggio», e «soluzioni postulate dalla dignità dell’uomo e della sua vocazione cristiana». Dall’«eguaglianza fondamentale di tutti i popoli nell’esercizio di diritti e doveri al cospetto della intera famiglia delle genti» alla «strenua difesa del carattere sacro del matrimonio». Sino a quello delle «dottrine fautrici di indifferentismo religioso o negatrici di Dio e dell’ordine soprannaturale», delle «dottrine che ignorano la Provvidenza nella storia ed esaltano sconsideratamente la persona del singolo uomo, con pericolo di sottrarlo alle responsabilità sociali». E poi quel punto alto che segnava un’opzione: «In faccia ai Paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri». Espressione quest’ultima mutuata dal progetto conciliare sottopostogli dal cardinale Suenens nel luglio ’62.«Dovere di ogni uomo, dovere impellente del cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui, e di ben vigilare perché l’amministrazione e la distribuzione dei beni creati venga posta a vantaggio di tutti. Questa si chiama diffusione del senso sociale e comunitario che è immanente nel cristianesimo autentico; e tutto va affermato vigorosamente», continua il testo. Che passa poi ai rapporti tra Chiesa e società civile: «Viviamo in faccia ad un mondo politico nuovo. Uno dei diritti fondamentali cui la Chiesa non può rinunciare è quello della libertà religiosa, che non è soltanto libertà di culto. Questa libertà la Chiesa rivendica ed insegna, e per essa continua a soffrire in molti Paesi pene angosciose. La Chiesa non può rinunciare a questa libertà, perché è connaturata con il servizio che essa è tenuta a compiere. Questo servizio non si pone come correttivo e complemento di ciò che altre istituzioni debbono fare, o si sono appropriate, ma è elemento essenziale ed insurrogabile del disegno di Provvidenza, per avviare l’uomo sul cammino della verità. Verità e libertà sono le pietre dell’edificio su cui si estolle la civiltà umana». E poi un riferimento alla guerra, alla volontà di sanare le cicatrici dei due conflitti, del XX secolo, nella certezza che «il Concilio nella sua struttura dottrinale e nell’azione pastorale», avrebbe espresso «l’anelito dei popoli a percorrere il cammino della Provvidenza segnato a ciascuno, per cooperare nel trionfo della pace». Insomma: «Il Concilio vorrà esaltare, in forme anche più sacre e solenni, le applicazioni più profonde della fraternità e dell’amore, che sono esigenze naturali dell’uomo, imposte al cristiano come regola di rapporto tra uomo e uomo, tra popolo e popolo». È quanto preme sottolineare anche all’ex segretario di Giovanni XXIII; l’arcivescovo Loris Francesco Capovilla che fu testimone e protagonista di quell’evento e al radiomessaggio dedica un piccolo saggio inviato agli amici.
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