lunedì 18 marzo 2013
​La Messa per le «vittime della tratta», dalle ragazze costrette a prostituirsi ai lavoratori delle fabbriche clandestine, diventò un appuntamento fisso. Parlano i collaboratori: fenomeno diffuso ma spesso taciuto perché dietro ci sono grandi mafie. Solo il cardinale aveva il coraggio di denunciarlo
L'ARCIVESCOVADO L'ufficio stampa? Un banchetto in corridoio (di Lucia Capuzzi)
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«Ora in questa città vogliamo che si senta il grido, la domanda di Dio: dov’è tuo fratello? Che questa domanda di Dio risuoni in tutti i quartieri della città, risuoni nei nostri cuori e che soprattutto entri anche nei cuori dei Caino moderni. Forse qualcuno potrebbe chiedersi: “Quale fratello?” Dov’è il tuo fratello schiavo?». Lucas Sherer ricorda che la voce dell’allora cardinal Bergoglio si incrinò per l’emozione nel pronunciare quelle parole. Era il 25 settembre 2012, e una folla si era radunata nella piazza Constitución, di fronte alla stazione principale di Buenos Aires, per partecipare alla “Messa per le vittime di tratta e traffico di persone”. Un appuntamento ormai fisso per credenti, non credenti, fedeli di altre confessioni, mamme delle ragazzine cadute nel buco nero della “prostituzione forzata”, ex lavoratori delle fabbriche clandestine, migranti irregolari abituati ad essere invisibili e ora al centro dell’attenzione di quel prelato così illustre. C’era anche Olga, boliviana, illegale, impiegata in nero in una sartoria abusiva, mamma single di due bimbe. «Volevo battezzarle ma avevo paura che mi chiedessero i documenti o mi cacciassero perché non ero sposata», afferma. Quel giorno, però, al termine della funzione, trovò il coraggio di avvicinarsi a monsignor Bergoglio. E gli disse: «Vorrebbe battezzare le mie figlie? Però non ho marito né documenti». Il cardinale sorrise e le rispose: «Sarà un onore». I fuori programma erano d’obbligo alla Messa che dal 2008 l’arcivescovo aveva deciso di celebrare per il popolo degli invisibili tra gli invisibili, «i fratelli schiavi». Quel mezzo milione di esseri umani (secondo la stima più cauta) – donne, uomini e bambini – sfruttati nei laboratori-scantinati che producono a bassissimo costo abiti per la grandi marche, nei postriboli illegali, nella raccolta di fragole, nella coltivazione di soia. «In Argentina la schiavitù esiste. Eccome. Lo sa che solo a Buenos Aires ci sono tremila laboratori tessili clandestini che sfruttano 25mila persone? Il punto è che se ne parla poco. Perché dietro la tratta, il traffico, la schiavitù moderna si nascondono grandi mafie. Solo il cardinale aveva il coraggio di denunciarlo pubblicamente…», dice ad Avvenire Sherer che, nel caos della crisi del 2001, ha creato, insieme ad altri amici, la Fondazione Alameda per la lotta alle moderne schiavitù. L’incontro con il cardinale avvenne sette anni più tardi. «Gli scrivemmo una lettera, a mano, tanto non pensavamo ci rispondesse. E, invece…». E, invece, il cardinal Bergoglio fissò subito un incontro. «E appena entrammo, ci domando: “Ditemi come posso aiutarvi”». Da quel giorno lo ha fatto in ogni modo possibile. «Quando gli segnalavamo il caso di un ex schiavo riscattato, lo incontrava e non si limitava a dirgli qualche bella parola. Si preoccupava per la sua sicurezza, gli cercava un posto dove stare, lo chiamava per sapere se aveva bisogno di qualcosa».L’impegno del cardinale ha «svegliato l’opinione pubblica», dichiara Sherer. Non è un caso che il governo argentino, dopo anni di silenzio, abbia approvato, nel dicembre 2012, una legge che indurisce le pene per i “mercanti di uomini”. La prima Messa per le vittime di tratta, l’arcivescovo la celebrò nella chiesa Madre de los Emigrantes, nella Boca. Poi, decise che si svolgesse all’aperto. «E in un luogo simbolico: la piazza dove le prostitute-schiave si vendono ad ogni ora del giorno e della notte. Tutta la città le vede, nessuno le guarda. Il cardinale voleva lanciare un messaggio forte a tutti i cittadini, cattolici e non cattolici», racconta ad Avvenire padre Juan José Cervantes, sacerdote scalabriniano messicano che da vent’anni dirige il Dipartimento per i migranti dell’arcivescovado. La struttura – fortemente sostenuta dal cardinale – assiste in media mille persone all’anno. «Gli irregolari non conoscono i loro diritti. Non sanno, per esempio, che i cittadini del Mercosur possono ottenere il permesso di soggiorno con facilità. Noi offriamo assistenza giuridica, psicologica, ma soprattutto accompagnamento. Il cardinale me lo ripeteva sempre: “Non siamo burocrati. Dobbiamo fare in modo che le persone si sentano accolte, anche se vengono solo per fare due chiacchiere”». Per la stessa ragione, la sera, invece di guardare la tv – che non aveva – monsignor Bergoglio passeggiava per il centro, quando questo si svuota di passanti e si riempie di “cartoneros”, i disoccupati che sopravvivono raccogliendo rifiuti. Quando ne vedeva uno con le mani immerse nella spazzatura, si fermava e si metteva a chiacchierare. Poi, tirava fuori il suo mate (recipiente di zucca dove si beve una specie di tè: gli argentini lo portano spesso con sé), e glielo offriva. «Un sorso a te e uno a me – diceva –. Da buoni fratelli».
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