giovedì 21 marzo 2013
Nel 1965, a soli 28 anni, il giovane docente di letteratura invitò il candidato al Nobel al «Colegio de la Inmaculada Concepción» di Santa Fé per una settimana di lezioni. Esperienza dopo la quale il poeta fece pubblicare una selezione di racconti dei ragazzi con una sua prefazione. «È stata una palestra di scrittura».
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​«Borges a Santa Fé?» L’ingegner Toto Milia pensò, sulle prime, che si trattasse di un ennesimo scherzo del suo figlio-terremoto, il 16enne Jorge. Una burla nemmeno troppo ben congegnata. «Figuriamoci. Ma lo sai di chi stai parlando?». Il ragazzo, però, rispose con naturale innocenza: «Sì, Jorge Luis Borges, quello che scrive sul quotidiano La Nación. Viene a farci lezione sulla letteratura gauchesca (un genere tipico argentino, ndr). L’ha invitato il professor Bergoglio». «Ah», si limitò a sospirare l’ingegnere, ancora sbigottito. Però se c’era di mezzo lo zampino del professor Bergoglio poteva anche darsi che il figlio stesse dicendo il vero. Non era la prima volta che quel giovanissimo docente di letteratura – aveva appena 28 anni – faceva sfilare di fronte agli occhi ancora inconsapevoli degli studenti del Colegio de la Inmaculada Concepción di Santa Fé personaggi illustri. Dalla scrittrice María Esther De Miguel a María Esther Vázquez, all’epoca collaboratrice e poi moglie di Borges. Certo, il celebre autore di Finzioni e già allora – era il 1965 – candidato al Nobel, era un’altra cosa….Gli unici a non avere dubbi sull’arrivo di J.L.B. – così chiamavano Borges i ragazzi – erano Jorge Milia e compagnia, ovvero gli studenti dell’ultimo anno de la Inmaculada. Che, a proprie spese, avevano imparato a dar peso alle parole di carucha, cioè “faccia di bimbo”. «Gli avevamo messo questo soprannome perché quando era apparso in classe, con i capelli chiari e il fisico esile, sembrava un ragazzino. In breve ci siamo dovuti ricredere...».Altro che “bimbetto”: «Il professor Bergoglio era estremamente fermo e determinato – racconta Jorge, ormai editorialista del giornale Castellanos e scrittore affermato –. Non duro, però. Anzi, era aperto. Se avevi un interesse su un tema in particolare ti dava tempo e spazio per coltivarlo. E questa era una novità assoluta in quel periodo. Addirittura ti aiutava. A patto, però, che studiassi pure il resto». Cioè i classici della letteratura. Prima gli spagnoli – nel quarto anno –, e poi gli argentini. «Il professor Bergoglio aveva una passione immensa per Borges. Per quel modo di costruire le frasi. Ci faceva studiare con grande attenzione i suoi racconti e ci invitava non solo ad analizzarli ma a comprenderne la natura linguistica profonda. Sono stati la nostra palestra per imparare a scrivere. Le lezioni di Bergoglio mi hanno insegnato che la posizione di una parola non è mai casuale». Nessuno si meravigliò, dunque, quando carucha, una mattina, si recò dalla vecchia stazione dei bus di calle Mendoza a prendere Borges. E lo portò in aula, dove rimase per una settimana. Si integrò a tal punto che gli allievi lo ribattezzarono – in segreto ovviamente – “Georgito, il nuovo compagno”.«Abbiamo avuto lo straordinario privilegio di conoscere un Borges unico – sottolinea Jorge –. Di fronte ai critici, ai media, il grande scrittore stava sempre in guardia. Con noi, al contrario, poteva permettersi di essere naturale». Gli studenti, chiaramente, ne approfittarono, con buona pace del professor Bergoglio. Le gaffes non mancarono. «La mia fu la peggiore – continua Milia –. All’epoca Borges non era ancora cieco. Vedeva, però, pochissimo. Per guardare l’orologio, in pratica, lo appoggiava sull’occhio. Una volta gli dissi: “Che cos’è, un orologio a contatto?”. Bergoglio mi lanciò un’occhiata fulminante. Borges, invece, mi guardò con stupore. “Che pensiero meraviglioso – affermò –. Immaginati un uomo a cui mettano un orologio dentro l’occhio e che, anche quando chiude le palpebre, sia costretto a vedere lo scorrere delle ore, cosciente di quell’adagio latino: Una est ultima. Scrivi questo racconto”, mi ordinò». Jorge, però, finora non l’ha fatto. «Come posso mettere nero su bianco un’idea di Borges? Una volta, nel 1973, a Buenos Aires, lo incontrai in una libreria. Lo salutai e gli ricordai dove c’eravamo conosciuti. Fu contento di vedermi, mi offrì un caffè e mi chiese del racconto. Gli mentii dicendo che lo stavo buttando giù ma mi mancava di un elemento. Mi disse: “Se lo termini, per favore, portamelo. E se sarò morto, pubblicalo: lo leggerò ugualmente”». L’avventura borgesiana degli alunni de la Inmaculada non si esaurì nei sette giorni di lezioni dal maestro. Prima della partenza, allo scrittore fu consegnata una selezione di racconti degli allievi. «Non c’era la fotocopiatrice, così li copiammo con la carta a carbone. A Borges, ovviamente, consegnammo gli originali in una cartella dove c’era scritto: “Racconti originali”». Qualche tempo dopo, il rettore de la Inmaculada ricevette una lettera da Borges. In cui chiedeva il «permesso» di scrivere una prefazione e far pubblicare quelle opere (il libro è stato effettivamente pubblicato nel 1965 e rieditato nel 2006 sempre da Maktub). «Mi ha colpito il titolo: Racconti originali, scrisse il grande autore». «Anche uno dei miei scritti era stato selezionato. Così, a 16 anni, grazie al professor Bergoglio, un mio lavoro ha avuto la prefazione di Borges».
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