lunedì 24 marzo 2014
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Venerati e Cari Confratelli,
ha inizio il Consiglio Permanente nel giorno dei “missionari martiri”, ormai nel cuore della Quaresima, e ci lasciamo quindi guidare dalla vivente memoria di quanti hanno dato la vita per la predicazione del Vangelo fino ai confini del mondo. Ma anche dal Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato alla Chiesa in preparazione alla Pasqua, vertice e fonte dell’Anno liturgico.
Siamo grati al Papa che ha onorato la nostra Conferenza con un nuovo membro del Collegio Cardinalizio, S.Em. il Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia - Città della Pieve e Vice Presidente della CEI: al neo porporato, del quale apprezziamo la “sapientia cordis”, esprimiamo la nostra  gratitudine, e assicuriamo la nostra preghiera perché – con l’intero Collegio – possa coadiuvare più da vicino il Successore di Pietro nella sollecitudine “omnium ecclesiarum”. Il nostro ricordo orante è anche suffragio per S.E. Mons. Giuseppe Agostino, Arcivescovo emerito di Cosenza - Bisignano e già Vice Presidente della CEI, che quest’oggi ha concluso il suo pellegrinaggio terreno.
 
1.  Quaresima, tempo di grazia
Cristo “si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8,9): è questo il titolo del Messaggio quaresimale. Il Santo Padre subito ci ricorda che queste parole indicano innanzitutto con quale stile Dio opera nella storia: “Dio non si rivela con i mezzi della potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della povertà” (Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2014). A questo stile divino la Chiesa deve continuamente guardare in quel percorso mai concluso di conversione del suo modo di essere tra gli uomini. È con tale spirito che anche noi continueremo il compito di revisione dello Statuto, dopo la prima tappa dell’ultimo Consiglio Permanente di gennaio. In quei giorni abbiamo sperimentato ancora una volta la passione e la responsabilità per la nostra amata Conferenza, ed abbiamo esaminato con puntuale attenzione e metodo il ricco materiale pervenuto dalle Conferenze Episcopali Regionali. Così come affronteremo due Note di rilievo, rispettivamente per la Scuola Cattolica, vero patrimonio del Paese, e per l’Ordo Virginum, nuovo carisma per la Chiesa.
L’amore per gli uomini peccatori conduce Dio a rivestirsi della nostra povertà – Lui, senza peccato – ma non per fermarsi ad essa, bensì per arricchirci: se la povertà di Cristo è “il suo farsi prossimo a noi come il Buon Samaritano”, la sua ricchezza è l’affidarsi a Dio Padre in ogni momento fino al culmine della croce. È qui, sul Calvario, il punto in cui la povertà di Gesù s’incontra con la sua ricchezza, e ci salva dal peccato della superbia e dell’autosufficienza. In altre parole, “la ricchezza di Gesù è il suo essere Figlio”.
In questa prima parte del Messaggio siamo ricondotti salutarmente al cuore del Vangelo, alla sorgente della gioia cristiana: Dio non è solamente Creatore, ma anche Padre, e nessuno quindi è orfano. Se in tempi recenti forse vi era il rifiuto del “padre” – categoria che esprime ogni legame di riferimento e di valore – oggi la situazione sembra rovesciata: a tutti i livelli e età pare che vi sia la ricerca del “padre”, cioè di punti di riferimento veri e credibili, che aiutino l’orientamento dentro ad una nuova Babele. Ritorna l’invito ad “uscire” da piccoli porti e a prendere il largo, perché il bene tende a espandersi e la gioia a condividersi perché sia più grande. È la missionarietà a cui il Santo Padre continua ad incoraggiare l’intera Chiesa.
Nella seconda parte, il Messaggio riflette sulla testimonianza: infatti “Dio continua a salvare gli uomini e il mondo mediante la povertà di Cristo, il quale si fa povero nei Sacramenti, nella Parola e nella sua Chiesa, che è un popolo di poveri” (id). E affronta tre tipi di povertà umane: la miseria materiale, quella morale e infine quella spirituale. Tra queste miserie vi è, non di rado, una rete più o meno evidente di relazioni causali e di reciproco rafforzamento.
 
2. Miseria materiale 
“La miseria materiale è quella che comunemente viene chiamata povertà e tocca quanti vivono in una condizione non degna della persona umana” (id). Ci portiamo – come sempre – in mezzo alla nostra gente, di cui condividiamo le speranze e le ansie in questo tempo particolarmente pesante. Ormai, sono passati più di sei anni dall’inizio della grave crisi economica, che chiede un prezzo altissimo al lavoro e all’occupazione. In modo speciale, si riversa come una tempesta impietosa sui giovani che restano, come una moltitudine, fuori della porta del lavoro che dà dignità e futuro. Essi, a dire il vero, anche di recente mostrano una grande pazienza, e danno prova d’intraprendenza grazie alla genialità che spesso caratterizza l’età giovanile. Ma ciò non è sufficiente se non vi è un tessuto industriale pronto a riconoscerne i pregi, a recepirne i risultati e a metterli in circolo su scala. Senza dimenticare quanti – non più in giovane età – hanno perso il lavoro e spesso si trovano esclusi da ogni circuito lavorativo e con la famiglia sulle spalle. Come su un binario parallelo e virtuoso, è necessario incentivare i consumi senza ritornare nella logica perversa del consumismo che divora il consumatore. Ma è altresì indispensabile sostenere in modo incisivo chi crea lavoro e occupazione in Italia, semplificando anche le inutili e dannose burocrazie. Se non si velocizzano i processi e non si incentiva, si scoraggia ogni intrapresa vecchia e nuova. Bisogna ripensare e rimodulare anche la concezione del lavoro: il vecchio schema di dura contrapposizione è superato e rischia di danneggiare i più deboli. È necessario promuovere sempre più una mentalità partecipativa e collaborativa dentro ai luoghi di lavoro, una visione per cui i diversi ruoli sono distinti ma non separati, perché tenuti insieme da un comune senso di appartenenza e di responsabilità verso il proprio lavoro, la famiglia, l’azienda, la società e il Paese. Con la responsabilità accorata di Pastori, auspichiamo che il nuovo Governo – con la partecipazione convinta e responsabile del Parlamento – riesca a incidere su sprechi e macchinosità istituzionali e burocratiche, ma soprattutto a mettere in movimento la crescita e lo sviluppo, in modo che l’economia e il lavoro creino non solo profitto, ma occupazione reale in Italia.
La povertà – ci dice il Rapporto 2014 della nostra Caritas sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia intitolato “False partenze”, di imminente presentazione – è in rapido e preoccupante aumento: sembra di essere in prima linea su una trincea più grande di noi, anche se sappiamo che la Chiesa non è chiamata a risolvere tutti i problemi sociali, ma a contribuire al meglio nello spirito di Cristo buon Samaritano. Comunque, gli sforzi delle 220 Caritas diocesane e degli 814 Centri di ascolto si sono moltiplicati, e le iniziative sono in quattro anni raddoppiate registrando un aumento impressionante di italiani che bussano alla porta, così come di gruppi sociali che fino ad oggi erano estranei al disagio sociale. I fondi diocesani di solidarietà aumentano dell’11%, e gli sportelli, per aiutare la ricerca del lavoro o della casa, sono giunti a 216. Si registrano anche gravi e crescenti difficoltà derivanti purtroppo dalla rottura dei rapporti coniugali, sia a livello occupazionale che abitativo. Il 66,1 % dei separati dichiara di non riuscire a provvedere all’acquisto dei beni di prima necessità. A questi dati di ordine materiale si devono aggiungere quelli di tipo relazionale tra padri e figli: il 68% dichiara che la separazione ha inciso negativamente su tale rapporto. Come Vescovi, vogliamo incoraggiare il servizio delle nostre Caritas e dei Centri di ascolto, come di tutte le 25.000 Parrocchie e delle molte Aggregazioni: è uno spiegamento di persone e di risorse che umilmente affronta un’onda sempre più grande e minacciosa. Il prossimo Convegno Nazionale a Cagliari sarà l’occasione per scambiare esperienze e speranze, ma soprattutto per rinnovare motivazioni e fiducia alla luce dei sentimenti di Cristo.
 
3. Miseria morale e spirituale
“La miseria morale (…) consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato (…) Questa forma di miseria, che è anche causa di rovina economica, si collega sempre alla miseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore. Se riteniamo di non aver bisogno di Dio, che in Cristo ci tende la mano, perché pensiamo di bastare a noi stessi, ci incamminiamo su una via di fallimento” (id).
La religione è un “legame” con Dio, un vivere riferiti a Lui, un camminare nella sua Parola di amore e di vita, altrimenti si riduce a sentimento e emozione. L’autosufficienza è la forma sostanziale di ogni peccato, da quello originale a quelli personali: i diversi peccati non sono che rivestimenti   della stessa radice che è il porsi con alterigia davanti a Dio, anziché porsi con fiducia con Dio. Per questa ragione bisogna che, sia il primo annuncio che la catechesi, abbiano al cuore il Kerygma: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti” (Papa Francesco, Evangelii gaudium, 164). Gesù dice le parole di Dio, capaci di rispondere all’uomo che desidera la felicità. Per questo si offrono come “regola di vita”: non come norma esterna ed estranea, ma come ciò che dà voce e corpo all’uomo nel suo essere universale, una freccia incandescente puntata verso l’infinito. E per questo perennemente inquieta! Non è forse questa la ragione più plausibile per cui le parole di Dio risuonano corrispondenti al “cuore universale” oltre latitudini, tempi, situazioni?
 
4. Violenza accattivante delle ideologie
Le ideologie deformano la comprensione che la ragione e il cuore hanno della realtà; facendo di un’idea particolare un assoluto, piegano forzosamente ogni principio, cosicché esso fatica ad essere riconosciuto come  un valore. Ne abbiamo un chiaro esempio in Occidente dove – se in decenni passati si poteva parlare di tramonto delle ideologie – oggi dobbiamo riconoscerne il ritorno, magari sotto vesti diverse, ma con la medesima logica e arroganza. Tra gli altri, un segno sta nel fatto che l’obiezione di coscienza è ormai sul banco europeo degli imputati: non è più un diritto dell’uomo? E l’Europa dà al mondo un esempio di comunità di Popoli, ciascuno con un proprio volto e storia? E perché accade che in Europa alcune serie  “raccomandazioni” sono tranquillamente disattese, mentre altre – non senza ideologismo – vengono assunte come vincoli obbliganti?
L’occidente non è più il centro del mondo! E il Sud della Terra preme alla tavola della dignità e della giustizia. Altri continenti e culture ne apprezzano tecnologia e benessere, ma guardano all’occidente con sospetto e fastidio per quella specie di neocolonialismo culturale, che  vuole imporre con mezzi spesso ricattatori: finanziamenti in cambio di leggi immorali, contrari alle identità di popoli e nazioni che vogliono mantenere le proprie radici. È questo il cammino della civiltà? Sarebbe una strada che rinnova o genera sordi rancori, e che prima o poi presenterebbe il conto. Se l’umanesimo plenario ha avuto la sua origine nel grembo europeo, e ha ispirato le grandi Carte internazionali, non è detto che trovi ancora in quel ceppo, tagliato dalle sue origini cristiane, la linfa ispiratrice. Se l’occidente vuole corrompere l’umanesimo, sarà l’umanesimo che si allontanerà dall’occidente e troverà – come già succede – altri lidi meno ideologici e più sensati. Il Vangelo è per tutti ma non è incatenato a nessuno, è storico e metastorico. L’erosione sistematica dell’impianto culturale umanistico, usando come grimaldello l’impazzimento dell’individuo con le sue pretese solipsiste, è una espressione triste di quella miseria morale e spirituale di cui parla il Santo Padre. Chiudere gli occhi sarebbe far finta di non vedere, come fece il levita sulla via di Gerico. È in questa prospettiva e con questo spirito che “i Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito della evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi nell’ambito del privato” (id. 182).
 
5. Iperindividualismo
Come è grande e antica la presenza operosa della Chiesa accanto a tutte le povertà materiali della gente e dei popoli, così è grande e convinta la sua attenzione a tutto ciò che corrompe la mente e il cuore, rende smarrita e confusa la persona sulla sua identità, sul valore della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla nascita, dalla crescita alla piena maturità, dal declino fino alla morte naturale: “La difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. (…) Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno” (id. 213). Seminare e codificare errori su queste realtà fa incerti e fragili i rapporti, alimenta diffidenze in chi si trova nel bisogno e nella dipendenza, rende individualista la società. Tutto ciò è la premessa – forse prevista e voluta – perché i più forti e senza scrupoli possano manipolare e piegare persone e Nazioni ai propri interessi. Bisogna andare contro la corrente di un individualismo scellerato che – applicato ai vari campi dell’esistenza privata e pubblica – porta a camminare sulla pelle dei poveri, a non aver tempo di fermarsi accanto alle moltitudini ferite sulla via di Gerico. È una visione iperindividualista all’origine dei mali del mondo, tanto all’interno delle famiglie quanto nell’economia, nella finanza e nella politica. Ma il sentire profondo del nostro popolo è diverso. Come Pastori, che hanno la grazia di vivere con la gente, ne conosciamo l’impegno nei doveri quotidiani, il senso profondo della famiglia, la solidarietà nelle relazioni, l’autentico eroismo nella dedizione ai malati e agli anziani, la passione responsabile nell’educazione dei figli. È questa rete virtuosa che sostiene il Paese e la speranza nel futuro. La ripresa, giustamente invocata, sarà un’illusione senza una rinascita morale e spirituale; e ciò sarebbe tanto più grave perché la dura lezione della crisi sarebbe stata vana, pagata soprattutto dai deboli. Bisogna accelerare la conversione dall’io al noi e dal mio al nostro: non certo nel senso che non esistono più l’io e il mio, ma nel senso che mai più dovranno essere intesi come degli assoluti, cioè slegati dal resto del mondo fatto di “altri”: persone, istituzioni, aziende, Paesi. Un mondo fatto da stagioni diverse, come l’efficienza dell’età adulta, l’infanzia e la giovinezza, la malattia e la vecchiaia. Un mondo fatto di aree diverse di sviluppo e risorse, di ricchi e di poveri, di giustizia e di ingiustizia, di diritti umani proclamati e di fatto violati, come ad esempio i diritti del bambino, oggi sempre più aggredito: ridotto a materiale organico da trafficare, o a schiavitù, o a spettacolo crudele, o ad arma di guerra, quando non addirittura esposto all’aborto o alla tragica possibilità dell’eutanasia. Ciò grida vendetta al cospetto di Dio. O anche la tratta delle donne, la violazione – a volte fino alla morte – della loro dignità. In un mondo che si definisce evoluto e civile, quante sono ancora le forme di violenza e di barbara criminalità che assume anche forme organizzate e mafiose, come è stato ricordato nei giorni scorsi dal Santo Padre incontrando i familiari delle vittime nella Parrocchia romana di San Gregorio! Anche la libertà religiosa è ancora perseguitata in troppe regioni del mondo, e da non poche parti del pianeta continuano a salire rumori di conflitto che devono essere affrontati con le armi della preghiera e del dialogo onesto senza altri interessi. A tanti nostri fratelli e sorelle in umanità e spesso nella fede, che sono anche vicinissimi perché parte del nostro Continente – come il popolo ucraino da questa simbolica sede vogliamo far pervenire la nostra vicinanza di Pastori, perché le ansie e le sofferenze, i diritti e le speranze di tutti trovino casa nella giustizia e nella pace. Anche per questo, la comunità cristiana ha aderito con gratitudine all’iniziativa di Papa Francesco, per 24 ore di adorazione e riconciliazione in tutte le Diocesi.
 
6. Educare intelligenza e cuore
Come sappiamo, l’annuncio di Cristo è fondamento e criterio dell’educazione delle intelligenze e dei cuori, una educazione integrale che la scuola è chiamata a offrire: “Il compito educativo è una missione chiave”, affermava recentemente il Santo Padre (Discorso ai Superiori Generali degli Istituti maschili di vita religiosa, 29.11.2013). E noi, Vescovi Italiani, con rinnovato impegno camminiamo nella via del decennio che abbiamo dedicato a questa missione. Per questo, con tutte le persone di buona volontà e di retto sentire, guardiamo all’appuntamento del 10 maggio prossimo in piazza San Pietro con il Papa. Davanti a Lui e con Lui, riaffermeremo l’urgenza del compito educativo; la sacrosanta libertà dei genitori nell’educare i figli; il grave dovere della società – a tutti i livelli e forme – di non corrompere i giovani con idee ed esempi che nessun padre e madre vorrebbero per i propri ragazzi; il diritto ad una scuola non ideologica e supina alle mode culturali imposte; la preziosità irrinunciabile e il sostegno concreto alla scuola cattolica. Essa  è un patrimonio storico e plurale del nostro Paese, offrendo un servizio pubblico seppure in mezzo a grandi difficoltà e a prezzo di sacrifici imposti dall’ingiustizia degli uomini: ingiustizia che i responsabili fanno finta di non vedere pur  sapendo – tra l’altro – l’enorme risparmio che lo Stato accantona ogni anno grazie a questa peculiare presenza. È in questo orizzonte che riaffermiamo il primato della persona, e quindi la tutela che si deve ad ogni persona specialmente se in situazione di fragilità – contro ogni forma di discriminazione e violenza. E nello stesso tempo non possiamo non ricordare il grave pericolo che deriva dallo stravolgere o disattendere i fondamentali fatti e principi di natura che riguardano i beni della vita, della famiglia e dell’educazione. La preparazione alla grande Assise del Sinodo sulla Famiglia, che si celebrerà in due fasi nel 2014 e nel 2015, nonché il recente Concistoro sul medesimo tema, hanno provvidenzialmente riposto l’attenzione su questa realtà tanto “disprezzata e maltrattata”, come ha detto il Papa: commenterei, “disprezzata” sul piano culturale e “maltratta” sul piano politico. Colpisce che la famiglia sia non di rado rappresentata come un capro espiatorio, quasi l’origine dei mali del nostro tempo, anziché il presidio universale di un’umanità migliore e la garanzia di continuità sociale. Non sono le buone leggi che garantiscono la buona convivenza – esse sono necessarie – ma è la famiglia, vivaio naturale di buona umanità e di società giusta. In questa logica distorta e ideologica, si innesta la recente iniziativa – variamente attribuita – di tre volumetti dal titolo “Educare alla diversità a scuola”, che sono approdati nelle scuole italiane, destinati alle scuole primarie e alle secondarie di primo e secondo grado. In teoria le tre guide hanno lo scopo di sconfiggere bullismo e discriminazione – cosa giusta –, in realtà mirano a “istillare” (è questo il termine usato) nei bambini preconcetti contro la famiglia, la genitorialità, la fede religiosa, la differenza tra padre e madre…parole dolcissime che sembrano oggi non solo fuori corso, ma persino imbarazzanti, tanto che si tende a eliminarle anche dalle carte. È la lettura ideologica del “genere” – una vera dittatura – che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni. Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei “campi di rieducazione”, di “indottrinamento”. Ma i genitori hanno ancora il diritto di educare i propri figli oppure sono stati esautorati? Si è chiesto a loro non solo il parere ma anche l’esplicita autorizzazione? I figli non sono materiale da esperimento in mano di nessuno, neppure di tecnici o di cosiddetti esperti. I genitori non si facciano intimidire, hanno il diritto di reagire con determinazione e chiarezza: non c’è autorità che tenga. Anche il fenomeno dell’“alcol estremo” – cioè di bere fino allo sfinimento o peggio – non può lasciare indifferente nessuno, tranne chi si arricchisce sul male degli altri. Si dovrebbe, invece, sprigionare nell’intera società un brivido di rifiuto e di seria preoccupazione, tale da provocare investimenti seri di risorse umane, economiche e valoriali, ben più meritorie rispetto a iniziative ideologiche e maldestre.
 
Cari Confratelli, mentre rinnoviamo la nostra lode al Signore della vita e della gioia, ci disponiamo ai lavori che ci attendono con generosità e fiducia. San Giuseppe, Patrono della Chiesa universale, del quale abbiamo appena celebrato la solennità, ci guardi e ci guidi. Egli ci assicura, come nella casa di Nazaret, la presenza calda e rassicurante della Sacra Famiglia.
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