lunedì 23 gennaio 2017
La prolusione del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei in apertura del Consiglio episcopale permanente.
Bagnasco: reddito di inclusione sociale e attenzione alle famiglie
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Cari Confratelli,
questa sera il nostro sguardo non può che partire dalla cronaca pesante e perdurante che in questi mesi ha interessato il Centro Italia: le continue scosse, le eccezionali nevicate, le vittime, i feriti, gli affetti, le case, le chiese e i paesi distrutti, ci hanno portato a esprimere in diversi modi la nostra vicinanza solidale alle popolazioni colpite dal sisma. Con le parole del Santo Padre, che ha voluto recarsi in prima persona sui luoghi terremotati, vogliamo ringraziare “i parroci che non hanno lasciato la terra”: si sono comportati da veri pastori. Ringraziamo, quindi, “le mani di tanta gente che hanno aiutato a uscire da questo incubo, le mani dei Vigili del Fuoco, le mani di tutti quelli che hanno dato del proprio” (Discorso alle popolazioni colpite dal terremoto, 5 gennaio 2017): l’hanno fatto e lo stanno facendo con dedizione generosa e altamente professionale.

La tragedia – che tale rimane – ci sta consegnando anche il volto migliore del nostro Paese, della nostra gente, pronta a mettere in gioco la propria vita per salvare quella altrui; disposta a rinunciare a qualcosa di proprio per condividerlo con chi tutto ha perso. Ringraziamo, quindi, le comunità cristiane che – in risposta alla colletta indetta dalla Cei – hanno contribuito finora con quasi 22 milioni di euro. Attraverso le Caritas diocesane ci hanno dato la possibilità di intervenire con risposte ai bisogni primari, con la realizzazione di alcune strutture polifunzionali e l’avvio dei primi progetti sociali e di sviluppo economico.
Come Conferenza Episcopale Italiana – oltre al primo milione di euro stanziato dai fondi otto per mille il giorno stesso delle prime scosse – abbiamo messo a disposizione di ogni Diocesi interessata 300 mila euro per interventi su edifici ecclesiastici, destinati al culto e alla pastorale.
Ringraziamo tanti Paesi del mondo intero – alcuni di loro, significativamente, fra i più poveri – per non aver fatto mancare il loro contributo. Un grazie convinto lo rivolgiamo anche alle Istituzioni, a partire dalla Protezione Civile. Il lavoro congiunto e costante di questi mesi con il Commissario Straordinario per la ricostruzione e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ci ha portato alla firma di un Protocollo d’Intesa, alla costituzione di un Tavolo tecnico e all'istituzione di una Consulta per i beni culturali di interesse religioso.
Questa tragedia ci sta consegnando un appello – peraltro già ampiamente raccolto – per una piena consonanza d’intenti. Mentre facciamo nostre le parole del Capo dello Stato che ha chiesto “grande unità e responsabilità per contribuire ad alleviare le sofferenze delle persone coinvolte”, assicuriamo che la Chiesa continuerà a offrire un contributo concreto ed efficace al cammino del Paese.



Uno sguardo al Paese


Con questo spirito, è doveroso da parte nostra almeno accennare alle difficili condizioni in cui versa una fascia sempre più ampia di popolazione.
Dall'inizio della crisi, le persone in povertà assoluta in Italia sono aumentate del 155%: nel 2007 erano 1 milione ed 800mila mentre oggi sono 4 milioni e 600mila. Dietro ai numeri ci sono i volti e le storie di centinaia di migliaia di famiglie che nelle nostre Diocesi e parrocchie, nei Centri d’ascolto, nelle Associazioni e nelle Confraternite hanno trovato una prima risposta – in termini di beni e servizi materiali, di sussidi e di alloggio – e spesso anche una presa in carico progettuale. Per questo sembra necessario prestare la massima attenzione alla legge delega di introduzione del Reddito d’Inclusione (REI) e alla predisposizione del Piano nazionale contro la povertà.

La crisi economica continua a pesare in maniera significativa sulla nostra gente, specialmente sui giovani e sul Meridione. A maggior ragione, in riferimento all'ennesimo rinvio sui decreti attuativi, stentiamo a capire come mai tutti i provvedimenti a favore della famiglia – che potrebbero non solo alleviare le sofferenze, ma anche aiutare il Paese a ripartire – facciano così tanta fatica a essere realmente presi in carico e portati a effettivo compimento.


La discussione politica verte, piuttosto, su altri versanti, quali ad esempio il fine vita, con le implicazioni – assai delicate e controverse – in materia di consenso informato, pianificazione delle cure e dichiarazioni anticipate di trattamento. Ci preoccupano non poco le proposte legislative che rendono la vita un bene ultimamente affidato alla completa autodeterminazione dell’individuo, sbilanciando il patto di fiducia tra il paziente e il medico. Sostegni vitali come idratazione e nutrizione assistite, ad esempio, verrebbero equiparate a terapie, che possono essere sempre interrotte. Crediamo che la risposta alle domande di senso che avvolgono la sofferenza e la morte non possa essere trovata con soluzioni semplicistiche o procedurali; la tutela costituzionale della salute e della vita deve restare non solo quale riferimento ideale, bensì quale impegno concreto di sostegno e accompagnamento.

A uno sguardo attento ci richiamano anche i drammi che continuano a consumare popoli interi, vittime di persecuzione e violenza, di povertà e guerra. Quelli che abbiamo davanti agli occhi sono scenari che rendono attuale la ripresa e l’approfondimento della Populorum progressio, pubblicata dal beato Paolo VI nel marzo di cinquant’anni anni fa. L’enciclica pone lo sviluppo in stretta relazione con la pace e chiede un uso diverso dei beni, in senso fraterno.
Tale fraternità oggi interroga, in particolare, la nostra disponibilità a misurarci con la situazione dei minori non accompagnati ed esposti a ogni sorta di abuso, come ci è stato ricordato dalla Giornata mondiale del migrante e del rifugiato appena celebrata. Si tratta di una realtà che interpella fortemente la coscienza civile del nostro Paese e le sue Istituzioni; realtà rispetto alla quale, come osserva il Santo Padre, in tema di accoglienza “il più cattivo consigliere è la paura, mentre il migliore consigliere è la prudenza” (Conferenza stampa sul volo di ritorno dalla Svezia, 1 novembre 2016).

La Chiesa – a partire dalle nostre parrocchie, dai centri della Fondazione Migrantes e dalle Caritas diocesane – è in prima linea nell'accoglienza: dove questa parola non richiama soltanto servizi offerti, ma famiglia, comunità, dialogo interculturale, iniziative di integrazione. In questa prospettiva, diventa importante sia il riconoscimento della cittadinanza ai minori che hanno conseguito il primo ciclo scolastico, sia la possibilità di affidare i minori non accompagnati a case famiglia: le centinaia di esperienze promosse nelle nostre parrocchie costituiscono una conferma circa la direzione su cui andare.



Uno sguardo alla nostra Chiesa


Mi avvio alla seconda e ultima parte di questa Prolusione, soffermandomi su alcuni temi di natura più ecclesiale.
L’Anno di grazia, che l’intuizione del Santo Padre ci ha donato, ha portato tanti a gustare la bontà del Signore e a diventare loro stessi strumenti di misericordia. Papa Francesco ha sottolineato come il Giubileo ci abbia “invitato a riscoprire il centro, a ritornare all’essenziale, a guardare al vero volto del nostro Re, quello che risplende nella Pasqua, e a riscoprire il volto giovane e bello della Chiesa che risplende quando è accogliente, libera, fedele, povera nei mezzi e ricca nell’amore, missionaria” (Santa Messa per la chiusura del Giubileo della Misericordia, 20 novembre 2016).


Di questa Chiesa sono espressione, innanzitutto, i nostri presbiteri. A loro va il nostro pensiero fiducioso e grato: il lavoro di ascolto, confronto collegiale e approfondimento che abbiamo condotto negli ultimi due anni in Assemblea Generale, in Consiglio Permanente e nelle Conferenze Episcopali Regionali è il segno più eloquente della stima e della cura che abbiamo per loro. Episodi di infedeltà al ministero e di oggettivo scandalo sono motivo di dolore, ma non fanno comunque venir meno la stima e l’ammirazione per il Presbiterio nel suo complesso.

Crediamo che il rinnovamento del clero a partire dalla formazione permanente, più che un’esigenza di aggiornamento e qualificazione, rimandi a un mistero di vocazione che trascende l’uomo e che nessuno, quindi, può mai dare per pienamente conseguito. Nel contempo, la volontà di aiutare i sacerdoti a sostenere e alimentare la loro vocazione di discepoli dentro il Presbiterio e la comunità ci ha portato a individuare alcuni ambiti precisi, sui quali investire con rinnovata convinzione: costituiscono la struttura del Sussidio su cui ci soffermeremo durante i nostri lavori e che richiamo in sintesi.

Innanzitutto, la relazione di amicizia con il Signore: non esiste un pascere il gregge che non sia sostanziato dall’incontro personale con Gesù Cristo e dal permanere in Lui (Primo capitolo). L’unicità di questo rapporto avvolge tutte le dimensioni dell’esistenza, e giustifica la consegna di sé nell’obbedienza, nella piena castità e in uno stile di distacco dai beni materiali (Secondo capitolo). La fraternità presbiterale impegna Vescovo e preti in esercizi di comunione, condivisione e corresponsabilità pastorale (Terzo capitolo). L’anima del ministero rimane la carità pastorale, segno di un sacerdozio consacrato a essere presenza di Gesù buon Pastore (Quarto capitolo). Di tale carità è parte la stessa amministrazione dei beni ecclesiastici: richiede la partecipazione corresponsabile della comunità, insieme a mentalità e procedimenti corretti e virtuosi, all’insegna della chiarezza e della trasparenza (Quinto capitolo). La conversione pastorale, che è richiesta dal cambiamento d’epoca in corso, fa sì che il presbitero sappia andare incontro a tutti, valorizzando le circostanze della vita quali occasioni di evangelizzazione (Sesto capitolo). In definitiva, egli porta la gioia del Vangelo, che si fa prossimità e cura, annuncio e testimonianza (Settimo capitolo).



Tutto questo ha sullo sfondo la vita concreta delle nostre parrocchie e unità pastorali: al riguardo, come non ricordare quanto il Santo Padre ha detto quest’estate in Polonia, rispondendo alla domanda sulla Chiesa in uscita? Ha parlato della parrocchia e l’ha descritta come luogo di accoglienza paziente per tutti, di disponibilità ai ragazzi in Oratorio, di attenzione e visita ai malati, di capacità di mettersi nelle difficoltà della gente e di andarle incontro: il presbitero che cammina su questa strada è il primo a trovarne giovamento per la sua vita di credente e di ministro (Cf. Discorso ai Vescovi polacchi, 27 luglio 2016).

Dai presbiteri ai giovani: il volto bello della Chiesa è riflesso anche e soprattutto nelle nuove generazioni, della cui formazione siamo responsabili, accanto alle famiglie e alle altre agenzie educative. In questa luce, siamo grati al Santo Padre di aver scelto come tema della prossima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi proprio I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Accogliamo, quindi, con attenzione e impegno il Documento Preparatorio, che sentiamo affidato anche a noi come “bussola” dei prossimi mesi. La preghiera, come pure la disponibilità ad ascoltare i giovani e a coinvolgerli in esperienze di servizio – ricordava Papa Francesco ai partecipanti al Convegno vocazionale promosso dalla CEI a inizio mese – sono ciò che attira i giovani e li porta a mettersi in un cammino di sequela Christi. Accanto a loro, per loro e con loro, intendiamo testimoniare ragioni di vita, affascinandoli alla fede in Gesù e a cercare risposta alle domande più profonde del cuore, quelle che la cultura dominante vorrebbe distrarre o liquidare con l’offerta di strade menzognere. Educhiamo i giovani a riconoscersi “popolo del Signore, che appartiene a lui, non alla mondanità, allo spirito del mondo, alle stupidaggini del mondo…”, per usare parole del Santo Padre di qualche giorno fa (Omelia, 20 gennaio 2017); educhiamo i giovani alla libertà, quindi a pensare con la propria testa, secondo verità: saranno portati a desiderare non solo una parte ma il tutto della gioia, e il suo per sempre, intuito in quei momenti di bellezza che si vorrebbe non passassero mai.

Sempre a livello ecclesiale, infine, viviamo in questi giorni la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: sappiamo quanto sia decisiva tale unità, proprio perché il mondo creda. La nostra memoria corre con gratitudine a quel segno di forte valenza ecumenica che è stato il viaggio del Santo Padre in Svezia (31 ottobre – 1 novembre 2016), in occasione del quinto centenario della Riforma luterana. Come ha detto Papa Francesco, “non possiamo cancellare ciò che è stato, ma non vogliamo permettere che il peso delle colpe passate continui a inquinare i nostri rapporti”. Nello spirito dell’appello contenuto nella Dichiarazione congiunta, incoraggiamo le nostre comunità a compiere ogni passo, pur piccolo, che aiuti a progredire verso la comunione fraterna.

In questa luce, vi ringrazio, cari Confratelli, dell’accoglienza che avete voluto prestarmi e del confronto collegiale che assicureremo in questi giorni. Il nostro lavoro già guarda con fiducia alla prossima Assemblea Generale, dove saremo chiamati a eleggere la terna relativa alla nomina del Presidente della CEI.

Ci poniamo sotto la protezione materna di Maria, Madre della Chiesa e del Buon Consiglio.


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