domenica 26 maggio 2019
Aprendo l’assemblea dei vescovi italiani, Francesco ha sollecitato un impegno rinnovato per l’applicazione del Motu proprio Formazione, risorse, strutture tra le cause che hanno rallentato la svolta
Processi di nullità, i motivi del ritardo
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Conversione delle strutture ecclesiali, collaborazione tra uffici pastorali, condivisione delle risorse in uno spirito missionario, dedizione prioritaria degli operatori dopo un’adeguata e specifica formazione. Sono i punti indicati da Orietta Rachele Grazioli, canonista, docente alla Lateranense, per l’attuazione della riforma del processo di nullità. L’esperta ha presentato un dossier sul tema il 12 maggio scorso alla Consulta nazionale di pastorale familiare della Cei.

Un settimana prima cioè che papa Francesco, rivolgendosi ai vescovi italiani, lamentasse che «la riforma rimane ben lontana dall’essere applicata in gran parte delle diocesi italiane ». Ritardi e iniziative a macchia di leopardo, progetti talvolta sproporzionati rispetto alle risorse a disposizione delle varie diocesi. Ma anche tante scelte oculate e generose, assunte con il proposito sincero di interpretare al meglio lo spirito della riforma del Papa, la saldatura cioè tra misericordia e giustizia nella prospettiva della 'salvezza delle anime'. Un quadro ben noto comunque all’Ufficio famiglia Cei, tanto da aver indotto il direttore don Paolo Gentili a mettere a tema appunto la questione della riforma introdotta dal Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus. «Il punto vero è che alcune difficoltà percepite dal Papa – spiega Orietta Rachele Grazioli – sono legate al problema del reperimento di personale adeguato con formazione adeguata. È evidente che per un giudice e per un avvocato è indispensabile una formazione accademica specialistica.

E servono almeno dieci anni di studio. Ci sono quindi risorse importanti da investire. E non sono interventi da poco». Ora, se la 'conversione delle strutture ecclesiali' riguarda la creazione di spazi, luoghi e tempi a disposizione dell’accoglienza dei fedeli in situazioni matrimoniali difficili, la collaborazione tra uffici che hanno il comune obiettivo di accompagnamento e sostegno delle fragilità, passa anche dalla valorizzazione delle risorse esistenti.

Un esempio semplice. Spesso i tribunali ricorrono a valutazioni psichiatriche per accertare l’immaturità dei fedeli che propongono una causa di nullità. Il motivo è evidente: se esistono sintomi che potrebbero far pensare a un’incapacità congenita di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio (unicità, indissolubilità, fedeltà, fecondità) si moltiplicano le probabilità di arrivare a una sentenza di nullità. Per queste perizie ci si serve spesso – a caro prezzo – di uno specialista esterno. Perché non ricorrere alle competenze già esistenti presso il consultorio familiare operante nella diocesi, laddove naturalmente sia presente e ben funzionante? La valutazione varia naturalmente da diocesi a diocesi.

È noto che non poche comunità, aderendo allo spirito della riforma, hanno deciso di costituire un tribunale ex novo. Scelta coerente per essere più vicini ai fedeli, ma non priva di difficoltà. Spiega ancora Grazioli: «Per costituire un tribunale ecclesiastico che decida sulle cause matrimoniali ci vogliono come minimo tre giudici, un notaio che faccia la verbalizzazione e un difensore del vincolo. Poi servono le strutture per ospitare il tribunale e le risorse per farlo funzionare». Il vero punto di snodo è la realizzazione del cosiddetto ponte giuridico-pastorale. «In questa prospettiva la riforma prevede un ufficio che accolga sia i fedeli separati intenzionati a una verifica preliminare della propria situazione, sia chi vuole arrivare alle cause di nullità. Ma anche in questo caso – osserva la canonista – servono competenze che non si possono inventare.

Occorre infatti reperire un team multidisciplinare in cui accanto ai giuristi e al consulente canonico ci siano psicologici, educatori, esperti di pastorale, teologici ». Un compito che potrebbe essere assolto dai consultori familiari di ispirazione cristiana. Se n’è parlato a lungo – fa notare la docente – ma finora non è stato concluso nulla (ne parliamo nell’articolo qui sotto). E i problemi non finiscono qui. L’ufficio delle verifiche preliminari dev’essere in grado di accompagnare non solo chi non arriva al processo, ma anche chi, dopo il processo, deve ricominciare tutto daccapo. L’accompagnamento post nullità – soprattutto quando non è stata riconosciuta – è di grande delicatezza.

Le norme non vi fanno cenno ma è evidente che dovrebbe svolgersi nello spirito della riforma. «Certo, come dice il Papa, chi si occupa di questo tipo di pastorale, proprio per la specializzazione necessaria – conclude la canonista – deve avere una dedizione prioritaria. Se però i laici, ma anche i sacerdoti coinvolti in questi uffici, devono occuparsi, per esempio, anche della pastorale della salute, degli anziani e della liturgia, le difficoltà si moltiplicano. Forse proprio la mancanza di questo impegno prioritario, almeno nella maggior parte delle diocesi, può aver dato al Papa la percezione di una mancata applicazione della riforma, anche se a livello locale ci sono stati più problemi contingenti che non una mancata volontà di aderire alla riforma. In ogni caso non è consentito ad alcuno abdicare al dovere di verità nei confronti dei fedeli che si affidano all’informazione, consiglio e mediazione della Chiesa».

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