mercoledì 11 maggio 2016
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INVIATO AVENEGONO INFERIORE ( VARESE) «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Il cardinale Gianfranco Ravasi riprende le parole di Gesù offerte dalla liturgia di ieri, per formulare il suo augurio ai 26 seminaristi ambrosiani che l’11 giugno prossimo saranno ordinati sacerdoti. «La gioia non la si ha, ma vi si è dentro – scandisce il presidente del Pontificio Consiglio della cultura –. L’augurio che io vi faccio è che questa gioia sia il grande grembo, l’orizzonte in cui tutto il nostro ministero sia sempre immerso». Venegono Inferiore, Varese. Basilica del Seminario arcivescovile di Milano. È Ravasi a tenere l’omelia nella Messa che rappresenta il cuore della tradizionale «Festa della Madonna dei Fiori», in occasione della quale vengono presentati alla diocesi i candidati al sacerdozio. Che quest’anno hanno scelto, quale motto, un passo della Prima Lettera ai Tessalonicesi: «Con la gioia dello Spirito Santo». E sono molti, i motivi di gioia e di gratitudine che si intrecciano in questa giornata di primavera che nemmeno una pioggia autunnale è riuscita a intristire. Si fa festa per i 26 diaconi prossimi all’ordinazione presbiterale, anzitutto. Ma anche a numerosi vescovi e preti che in questo 2016 celebrano i loro anniversari. A partire dal cardinale Angelo Scola, vescovo da 25 anni. E dallo stesso Ravasi, prete da 50, che aprendo l’omelia non nasconde la commozione per il ritorno in questo luogo che gli è caro e che l’ha visto impegnato anche come docente. A rendere omaggio ai festeggiati, il cardinale Dionigi Tettamanzi, emerito di Milano, una quindicina di vescovi e quasi 400 sacerdoti. Chiamati a essere, giorno dopo giorno, testimoni di fede, luce, amore, ricorda Ravasi: al fianco di tutti, a partire da chi soffre, è nella solitudine, nella malattia, quelli che «non hanno nessuno che pensi a loro, che faccia loro una carezza. Il prete arriva con questa testimonianza d’amore. Ed è un amore che carica anche noi, alla fine. Che dà il coraggio di passare le notti con chi è nella prova». Serve un impegno pastorale – riflette il porporato – con «l’insegna» di questo amore, che sa aprirsi fino all’ascolto del «silenzio di Dio, esperienza che definisce la spiritualità umana», e che non teme la notte del male, sia quello dei «nemici della croce», che si manifesta nelle odierne persecuzioni contro i cristiani, sia quello della «temperie dell’indifferenza, della superficialità, dell’amoralità» della società d’oggi. Un amore «paziente» capace di alimentare «dialogo e incontro» con migranti e profughi per edificare una «società interculturale». Nella Bibbia, ricorda Ravasi, l’espressione «non temete » tanto cara a Giovanni Paolo II ricorre 365 volte, «quanti sono i giorni dell’anno»: come un «buongiorno » che si rinnova dopo ogni notte. La «Festa dei Fiori» si era aperta nella Sala Paolo VI con la benedizione di due sculture – una Crocifissione e una Pietà – opera di un’artista svizzera, provenienti dalla cappella arcivescovile di Venezia e dono di Scola al seminario. Quindi il saluto del rettore, monsignor Michele Di Tolve, a ricordare l’omaggio del Seminario a Scola per il suo 25° di episcopato: il volume Dio ha bisogno degli uomini (Bur, 240 pagine, 13 euro) che raccoglie interventi di Scola ai seminaristi e ai sacerdoti milanesi. Quindi la riflessione sul tema “La missione del prete oggi” tracciata dal vescovo ausiliare Paolo Martinelli, vicario per la vita consacrata maschile. «Quando il sacerdote vive la propria missione come dedizione totale al popolo di Dio nella sua interezza, può sperimentare la gioia profonda di una vita data e, per questo, piena e compiuta: un segno luminoso per tutta la nostra Chiesa e un invito incoraggiante per i novelli presbiteri», scandisce Martinelli, dopo aver sottolineato come «compito fondamentale del prete è mostrare come l’incontro con Cristo realizza l’umano», dunque «formare i fedeli all’Evangelo dell’umano». Il sacerdote «deve avere a cuore lo sguardo tenero di Cristo sull’umano», a maggior ragione nello scenario dell’Anno Santo straordinario della misericordia. Decisiva, insiste il vicario, è la consapevolezza che a generare la missione non è la nostra disponibilità, ma la chiamata di Dio. È solo alla fine della Messa che Scola prende la parola. Per dire tutta la sua gratitudine per i motivi di festa della giornata. E offrire due raccomandazioni alla luce del decreto conciliare Optatam totius. «Lo stile che deve permeare la vita del cristiano – e a maggior ragione del sacerdote – sgorga dall’atteggiamento di confessione, quella disposizione abituale a manifestarsi sempre per quello che si è, non trattenendo niente per sé», afferma l’arcivescovo di Milano. Quindi, augurando «che la pace di Cristo regni nei vostri cuori», eccolo spiegare come nel «travaglio » di questa stagione storica «si fa sempre più chiaro che la pace non è in proporzione all’assenza di dolore, contraddizione, peccato, ma è proporzionale al espresso nuovamente ogni giorno alla nostra vocazione e missione. Da qui sgorga inarrestabile la gratitudine». Infine l’invito: «Crescete nella consapevolezza che si può esercitare un ministero così delicato solo se, prima di assumerlo, si è già deciso nel nostro cuore che la vita è data al Signore nel nostro fratello uomo. Bisogna avere già offerto la nostra esistenza prima di avere intrapreso questo cammino: qui sta la pace, nonostante tutte le prove». © RIPRODUZIONE RISERVATA I cardinali Tettamanzi, Scola e Ravasi ieri al Seminario ambrosiano di Venegono Inferiore (Itl)
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