sabato 16 gennaio 2010
Attesa per la visita al Tempio Maggiore di Roma, ventiquattro anni dopo la prima, storica, di un pontefice che vide protagonista Giovanni Paolo II. Il cardinale Walter Kasper, presidente della Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo: «Votati a un unico Dio, ebrei e cattolici sono chiamati alle sfide della modernità con un impegno condiviso».
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Ventiquattro anni dopo. E per la seconda volta un Pontefice metterà piede nella Sinagoga di Roma. Se quella di Giovanni Paolo II fu «ovviamente» definita «storica» – perché «una cosa del genere non era mai successa in duemila anni» – più difficile sarà trovare un aggettivo per questa che Benedetto XVI si appresta a compiere domenica prossima. Però «sicuramente avviene in una dimensione di continuità, per confermare i rapporti che sono cresciuti e maturati in questi ultimi anni». Con un significato poi del tutto particolare per l'Italia, «che questa visita sia un segno del dialogo che avanza, con la speranza che i rapporti siano sempre migliori, perché ci sono problemi dovuti a una certa sensibilità». Quando mancano ormai solo tre giorni alla visita di papa Ratzinger al Tempio Maggiore di Roma, il cardinale Walter Kasper, presidente della Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo – nonché del Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani – ha voluto incontrare alcuni giornalisti e ribadire la «nuova atmosfera di dialogo» che, nonostante «non manchino difficoltà e problemi», si è consolidata tra cattolici ed ebrei e di cui la visita di domenica vuole essere testimonianza visibile. Con questo gesto, infatti, Benedetto XVI «intende confermare come i rapporti tra le due parti siano cresciuti e maturati», e per questo «sottolineerà soprattutto gli elementi che abbiamo in comune». Anzitutto la fede nell'unico Dio, che costituisce una sfida fondamentale nelle società attuali sempre più secolarizzate; ma anche l'aspirazione dei popoli alla pace, la tutela della vita e della famiglia, la giustizia sociale e l'educazione.«Provocati dalla modernità». Del resto, ha osservato il porporato, in questo si riflette anche la storia delle diverse fasi che il dialogo ebraico-cattolico ha attraversato: «All'inizio si è parlato soprattutto della storia, del nostro passato, cosa che del resto era non solo naturale e comprensibile, ma necessaria. Mentre negli ultimi dieci anni ha intrapreso una nuova direzione: siamo passati ai problemi attuali della società moderna, ragionando su cosa possiamo fare insieme su questa base comune. Penso che già adesso ci sia una collaborazione enorme». Passaggio indispensabile, perché «oggi ci è richiesta una testimonianza comune, e non ci sono religioni più vicine tra loro del cristianesimo e dell'ebraismo». Un impegno, ha sottolineato Kasper, che non vuole né sottintendere «forme di sincretismo» («Non le vuole nessuno, né noi né loro»), e neppure ignorare «tutti i problemi che restano aperti e che tali rimarranno fino all'ultimo giorno della storia». Il desiderio di dialogare, piuttosto, «è una volontà di entrambe le parti, non solo come scambio intellettuale o presenza nelle cose concrete, ma anche quale testimonianza comune di amicizia nel rispetto reciproco delle differenze». D'altra parte, ha osservato il presidente della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo, nella corso della storia gli influssi tra l'una e l'altra parte sono stati molto numerosi: non soltanto nella diffusione universale della fede nell'unico Dio, ma anche nella liturgia e nell'architettura sacra e, soprattutto, nello studio della Bibbia. Dialogo prezioso dunque, quello religioso, che non va in alcun modo sovrapposto al parallelo dialogo che ancora impegna le diplomazie vaticana e israeliana su questioni come lo status giuridico della Chiesa cattolica in Israele e il regime fiscale da attribuirle: «Sono questioni molto complesse a loro volta – ha spiegato in proposito Kasper – perché le autorità politiche non vogliono dare, come loro dicono, "un privilegio" alla Chiesa cattolica perché poi dovrebbero darlo a tutte le altre religioni presenti. Si tratta di due dialoghi indipendenti, e noi stiamo molto attenti a non dipendere da queste situazioni politiche, sperando che il nostro dialogo possa aiutare l'altro». Pio XII, storia e spiritualità. Il cardinale Kasper non ha poi mancato, rispondendo ad alcune domande, di tornare sulla questione delle reazioni negative di alcuni settori dell'ebraismo sul "via libera" alla causa di beatificazione di Pio XII, e su quanto dichiarato l'altroieri dal rabbino capo di Tel Aviv, Israel Meir Lau: «Giovanni Paolo II ha vissuto la Shoah dalla parte delle vittime, mentre Benedetto XVI ha passato la Seconda guerra mondiale dall'altra parte della barricata, e questa può essere una grande differenza». Sul primo punto, pur esprimendo «comprensione e rispetto per questa sensibilità», ha ribadito quanto fatto da papa Pacelli «per salvare migliaia e migliaia di ebrei», e che in ogni caso la questione storica «può essere approfondita», ma non c'è relazione tra essa e «il giudizio sulla spiritualità». Quanto al secondo punto «io credo – ha detto Kasper – che bisogna stare molto attenti nel considerare quello che è realmente accaduto in quegli anni. I cattolici, e io stesso ne sono stato testimone, erano considerati nemici del nazionalsocialismo».
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