mercoledì 24 luglio 2013
​Il missionario del Pime, 20 anni trascorsi in Brasile, focalizza le questioni aperte: investire anche su scuola e sanità
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​«Il Brasile è in una fase di speranza, di realizzazione. E ha suscitato un po’ di sorpresa il fatto che dopo la crescita molto forte registrata l’anno scorso ora l’economia stia un po’ rallentando». A parlare è il missionario Costanzo Donegana, storico, giornalista e responsabile dell’Ufficio ricerche storiche del Pime.Padre Donegana lei è stato in Brasile per 20 anni, come spiega i recenti scontri in piazza?È strano per il Brasile, che è un Paese pacifico e paziente. Semmai si scalda per il calcio. Per la politica meno, anche se la gente partecipa. Gli scontri non sono stati animati da bande di poveri, ma dalla classe media. Sono stati spontanei, non ci sono dietro movimenti o la politica. È un’indicazione di una insoddisfazione. Manifestavano per il prezzo della metropolitana che è aumentato. Come quello dei bus. Poi il governo l’ha diminuito. Ma l’aumento è stato in realtà la miccia: in realtà si lamentano perché il tenore di vita della classe media si sta abbassando.Molti denunciavano anche la corruzione. Sì. La corruzione è spaventosa. È una mentalità in Brasile, tanto che si usa dire fare il jeitinho, cioè arrangiarsi, ed è una maniera abbastanza diffusa. È importante che tutta la società a tutti i livelli prenda coscienza. I brasiliani sono stati sempre colonizzati, c’è sempre stata una classe favorita, per cui la gente ora è anche stufa. I vescovi hanno scritto una lettera, in cui solidarizzano con queste persone.E quanto a scuola e sanità? Per l’accesso all’istruzione il governo ha promosso politiche anche interessanti, forse un po’ assistenzialiste. Per esempio, se una famiglia povera manda il figlio a scuola, riceve una piccola sovvenzione mensile. Ufficialmente il 95 per cento dei ragazzi va a scuola. Ma bisogna tenere conto della qualità. Anche nelle stesse città. Nell’Amazzonia, una ragazzina che ha 14 anni appena uscita dalla scuola d’obbligo diventa maestra. Noi abbiamo un centro per i ragazzi, a San Paolo. Qui le educatrici invece devono essere laureate in pedagogia. La sanità poi lascia molto a desiderare. La gente deve pagarsi le medicine. Molte persone che hanno avuto un tumore, devono fare le cure ma non hanno i soldi. Eppure lei parla di fase positiva.Sì, il Brasile è migliorato molto. C’è stato un lavoro da parte della Chiesa, sulla pastorale dei bambini. Zilda Arns, sorella del cardinale Paulo Evaristo Arns, arcivescovo emerito di San Paolo, morta poi nel terremoto di Haiti, ha portato avanti una grande operazione di sostegno per le famiglie e i bambini poveri, nelle periferie. Sono impegnate tantissime suore. C’è la Caritas e poi le pastorali sociali, molto specializzate nell’aiuto ai tossico dipendenti.Il ruolo della Chiesa è dunque fondamentale?La Chiesa è sempre stata l’entità vista più positivamente dai brasiliani, sempre. Ed è presente per dare aiuto. Negli anni ’70, ’80 qui si è molto sviluppata la riflessione sulla teologia della liberazione, ossia dare coscienza alla Chiesa che deve rivolgersi soprattutto ai poveri. È infatti nata come risposta allo scandalo della povertà. Del resto, l’evangelizzazione è anche impegno sociale. Questa scelta evangelica ora è stata assimilata, ed è entrata nella mentalità e nella prassi della Chiesa: essere discepola di Dio, ascoltare Dio attraverso la storia e impegnarsi nella missione.Uno sguardo ai giovani brasiliani.Il loro problema è il lavoro. Trovano un’occupazione per lo più quelli che hanno una specializzazione. I miei giovani, quelli della favela, il lavoro che sognano è quello dei motoboy. Sono spericolati. Più consegnano più guadagnano. Ogni giorno c’è un morto. C’è poi la piaga della droga e dell’alcol. Bere la birra e la cachaça, un tipo di grappa, è diventata una moda purtroppo. Spesso cominciano dalle 8 del mattino. Ma hanno voglia di crescere, di fare, se dai loro l’opportunità. Con una suora brasiliana abbiamo iniziato a seguirne alcuni dall’adolescenza. Li facciamo studiare o gli paghiamo il corso professionale. La maggior parte di loro trovano lavoro. E sono contentissimi.
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