sabato 28 luglio 2018
Il beato nelle parole di Francesco, uno dei due fratelli, e del nipote Carmelo. «Insegnava ai ragazzi a dire “grazie”. Vocabolo assurdo nella terra di Cosa Nostra». Il Papa? «Così lo abbiamo invitato»
La tomba di padre Pino Puglisi nella Cattedrale di Palermo

La tomba di padre Pino Puglisi nella Cattedrale di Palermo

COMMENTA E CONDIVIDI

Quando Francesco Puglisi apre la porta di casa, alle sue spalle compare un ritratto del fratello. È quello di don Pino, il prete martire ucciso dalla mafia venticinque anni fa. Sorride il “sacerdote scomodo” nel dipinto che gli hanno regalato. Come faceva sempre. Questo condominio bianco alla periferia di Palermo non è lontano da Brancaccio, la roccaforte di Cosa Nostra dove la famiglia Puglisi abitava. Proprio di fronte alla casa dei genitori don Pino è stato assassinato nel giorno del suo 56° compleanno, il 15 settembre 1993. «È una piaga sempre viva», sussurra Francesco che tutti chiamano Franco. Ha 73 anni. Il fratello sacerdote ne aveva otto più di lui. «Lo hanno ammazzato – prosegue Francesco – perché, prima che arrivasse lui nella chiesa di San Gaetano, i riferimenti di Brancaccio erano i boss. Poi il perno è diventato il parroco. Ma non chiamatelo “prete antimafia”. No, lui non è mai stato “anti”: è sempre stato “pro”. A cominciare dai bambini. Aveva iniziato da loro nel quartiere. Insegnava ai ragazzini a dire “per favore”, “grazie”, “prego”. Parole sconosciute e assurde in un ambiente segnato dalla malavita. Parole di civiltà che hanno fatto paura alla mafia».

Non è un appartamento-santuario quello di Francesco, oggi pensionato con un passato da bancario. Sono poche le foto di don Pino, per lo più in bianco e nero. Una è nel grande mobile del soggiorno dove tutto è pronto per il pranzo della festa. «Ogni domenica lo zio Pino mangiava qui», racconta Carmelo, figlio di Francesco e nipote del prete dell’“insurrezione evangelica”. Al suo fianco ha la moglie e il bimbo di pochi mesi. «Spesso arrivava in ritardo – continua –. Celebrava l’ultima Messa del mattino a mezzogiorno e poi si fermava fra la gente che chiedeva di lui. “Non sono un ufficio comunale. Quando le persone ti cercano, devi essere disponibile”, ripeteva. Poi si sedeva fra noi. Scherzava. Magari ascoltava le radiocronache delle partire o vedeva in tv il Gran Premio. Sosteneva che in famiglia si ricaricava». Il volto di Carmelo si fa scuro. «Ci manca lo zio. Ci manca molto». E Francesco aggiunge: «Avremmo preferito che fosse ancora fra noi...». Oggi è beato. «Però la sua assenza ci provoca un immenso dolore». E, quasi per smorzare la tensione, cambia tono. «Certo, non ci siamo mai accorti di avere un santo in casa», dice accennando un sorriso.

Papa Francesco gli renderà omaggio il prossimo 15 settembre durante la sua visita a Palermo nel giorno del 25° anniversario della morte. Lo hanno invitato proprio i fratelli Puglisi, Francesco e Gaetano, con una lettera dello scorso novembre. «Gli raccontavamo il nostro sogno di accoglierlo in quella che è stata la nostra abitazione a Brancaccio e che oggi è la casa-museo di don Pino dove giungono pellegrini da tante parti del mondo», rivela Francesco. Così accadrà. I fratelli daranno il benvenuto al Papa all’ingresso del condominio al civico 5 di piazza Anita Garibaldi dove padre Puglisi è stato colpito dai sicari dei fratelli Graviano. «Siamo quasi imbarazzati – ammette Francesco –. È un grande onore poterlo incontrare come famiglia Puglisi nel luogo del martirio di nostro fratello». E la mente torna a quando Pino decise di entrare in Seminario. «Era già alle superiori, faceva le magistrali. Siamo cresciuti in una famiglia di profonda fede. Mia mamma pregava perché un figlio diventasse sacerdote. Quando Pino aveva quattordici anni, venne in visita nella parrocchia l’allora arcivescovo di Palermo. Pino era catechista. L’arcivescovo gli chiese: “Perché non ti fai prete?”. E lui gli rispose: “Non sento la vocazione”». Due anni dopo la chiamata del Signore sarebbe stata definitivamente evidente.

Se c’è una priorità che padre Puglisi ha avuto chiara fin dall’inizio del suo ministero, era quella dei giovani. «Aveva la passione per l’insegnamento. E amava i ragazzi. Poi sui ragazzi ha sempre fatto breccia. A Brancaccio tutto ciò ha dato fastidio», afferma il fratello. «Lo accusavano anche di essere amico degli atei. Ma lui replicava: “Guardiamo a ciò che ci unisce”. Era un uomo del dialogo, della riconciliazione, della pazienza». Francesco lo definisce un «prete di strada», non sicuramente un «eroe». E sottolinea: «Anche per questo ha fondato il Centro di Accoglienza Padre Nostro a Brancaccio. Non era un presidio con una connotazione ecclesiale ma una porta aperta a chiunque, soprattutto ai lontani e a chi era nel bisogno». Oggi Francesco Puglisi fa parte del consiglio direttivo. «Per acquistare la sede, pagata 290 milioni di lire, Pino fece un mutuo che garantì con il suo stipendio di insegnante. Non riuscì mai a estinguerlo. Venne ucciso prima...». Una pausa. «Comunque per raccogliere un po’ di fondi ideò una lotteria. Il primo premio era una cucina. Andò dalla Guardia di Finanza e si fece vidimare tutti i biglietti: così un terzo del ricavato andò in tasse. “Perché lo hai fatto?”, gli domandammo. “Devo dare l’esempio. Anche così mostriamo che cos’è la legalità”, rispose secco».

Oggi il Centro ha contribuito a realizzare i segni di “3P” fra le macerie sociali di un agglomerato che è stato in mano alle cosche: i campi sportivi, gli sportelli di aiuto, le case di accoglienza.

«Quando vedo i bambini giocare in quelle strutture, mi commuovo perché penso che senza la lungimiranza di don Pino sarebbero rimasti per strada», mormora Angelina, moglie di Francesco.

E lui precisa: «Mio fratello voleva rivoluzionare Brancaccio con il Vangelo in mano. E oggi il Centro prosegue sulla stessa strada anche attraverso il progetto dell’asilo nido» che sorgerà per ricordare il beato a un quarto di secolo dal delitto.

Nei mesi che precedettero l’uccisione le minacce della mafia si erano intensificate. «Ma in famiglia lui non ne parlava», spiega Francesco. Adesso uno dei killer, il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, ha chiesto perdono e ha detto di essersi convertito. «Se è sincero, sarà il Signore a giudicarlo con misericordia. E, sempre se è sincero, come fratelli Puglisi potremmo anche essere disposti a perdonarlo». Lo sguardo di Francesco si posa su un’immagine del fratello con la talare, ancora giovane sacerdote. «Ormai la vita della nostra famiglia – conclude con un filo di voce – non è più soltanto nostra. Siamo chiamati a testimoniare la profezia di Pino, prete semplice e umile che ha donato la vita per il riscatto della sua gente anche a costo di finire nel mirino della mafia».

Come contribuire al nuovo asilo di 3P

Un gesto concreto di solidarietà per celebrare il 25° anniversario del martirio del beato Pino Puglisi, il prete siciliano ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993 di fronte alla sua casa di Palermo. Il Centro di Accoglienza Padre Nostro, voluto dallo stesso padre Puglisi nel capoluogo siciliano, e la Fondazione Giovanni Paolo II, insieme con l’arcidiocesi di Palermo, il Comune di Palermo e Avvenire intendono realizzare l’ultimo sogno del sacerdote “profeta” per il suo quartiere Brancaccio a Palermo: la costruzione del nuovo asilo nido. Posiamo insieme la prima pietra.

È possibile contribuire al “sogno” di padre Pino Puglisi attraverso:
- bonifico bancario intestato a Fondazione Giovanni Paolo II utilizzando il seguente IBAN IT84U0503403259000000160407 (va inserito anche l’indirizzo di chi versa nel campo causale);
- bollettino sul conto corrente postale n. 95695854 intestato a Fondazione Giovanni Paolo II, via Roma, 3 - 52015 Pratovecchio Stia (AR). Causale: “Asilo Don Puglisi”;
- carta di credito o PayPal sul sito www.ipiccolidi3p.it.
Partecipa al progetto con la tua parrocchia o associazione, con i tuoi familiari o amici. Facendo una donazione si avrà diritto alle agevolazioni fiscali previste dalla legge. I dati saranno trattati ai sensi dell’art.13, regolamento europeo 679/2016 (c.d. “GDPR”).


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: