martedì 28 settembre 2010
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«Nel mio animo di laico sono anch’io molto angustiato. Nel leggere la prolusione del cardinale Bagnasco, del resto, ho trovato una visione dell’Italia e dei suoi problemi molto vicina alla mia cultura liberale e non posso che trovarmi d’accordo». Piero Ostellino, editorialista ed ex editore del "Corriere della Sera", che nei giorni scorsi aveva denunciato il «desolante spettacolo» fornito dall’attuale momento politico e sociale del Paese, non nasconde un sincero entusiasmo. «È un testo che costituisce un forte riferimento culturale. Racchiude tutto quello di cui oggi l’Italia ha realmente bisogno».Sembra stupito. Eppure si tratta di posizioni che la Chiesa ha sempre manifestato.Sarà perché il momento attuale lo richiede, ma qui la visione della Chiesa emerge con forza. Si declina il principio di libertà come responsabilità di ciascuno nei confronti delle azioni che compie. C’è un richiamo ai principi del liberalismo, inteso non come dottrina dell’egoismo, ma del senso di responsabilità. Una visione dalla quale si comprende come la tradizione liberale autentica sia debitrice al messaggio cristiano. Ecco, e lo dico non da uomo di fede ma da aspirante credente, dalla prolusione emerge evidente che il messaggio di Cristo è un valore universale. Anche se su alcuni dettagli si può non essere d’accordo.Qual è il primo dettaglio che le viene in mente?Per esempio la questione del federalismo solidale. Io penso che se si parla di sussidiarietà non abbia più senso parlare di federalismo solidale. In questo Paese di imbroglioni si rischia che quelli che non hanno la capacità di tenere i conti in ordine continuino ad approfittarsi come sempre. Il federalismo, invece, come dice anche Bagnasco, ha bisogno di responsabilità.Quello che manca oggi alla politica?E il cardinale lo sottolinea bene. Lavorare per il Paese significa impegnarsi ciascuno con la propria dignità di individuo. Se il cittadino non assume di fronte agli altri la responsabilità di quello che fa individualmente, il Paese non può andare avanti. Ognuno ha responsabilità per se stesso e per quelli che passano per strada. Altrimenti si perde il senso collettivo delle azioni personali. Senza responsabilità personale la politica produce disgregazione.Un problema anche culturale.La regressione culturale del Paese, così come quella politica, è spaventosa. Fortunatamente ci restano due punti di riferimento stabili: da un lato il presidente della Repubblica che tiene ferma la barra della responsabilità nell’azione politica, dall’altra la Chiesa. Così come l’ho letta, questa prolusione è un forte punto di riferimento culturale. Al suo interno si trova tutto ciò di cui l’Italia ha bisogno in questo momento.Intende anche il richiamo al concetto di unità?Il modo in cui il cardinale parla dell’unità dell’Italia è fondamentale, tanto più nel momento in cui ci sono le celebrazioni del 150° anniversario. Il richiamarsi al concetto di nazione e di tricolore significa rafforzare il senso di quelle tradizioni condivise che ci fanno sentire una comunità. Ed è assai significativo che la Chiesa, organismo millenario, promuova il superamento di forme di reazione a quel dato di fatto storico e politico che è l’unità d’Italia.Anche lei è convinto che «cambiare si può»?Solo se la nostra classe dirigente prende atto che ridurre la politica a conflittualità permanente è autolesionista. Bisogna cambiare tutti gli stereotipi della politica attuale. Basta col fare della politica uno scontro fra berlusconisti e antiberlusconisti. La chiave è sempre quella della responsabilità del ruolo. I politici sono stati eletti per essere al nostro servizio, non il contrario. La prolusione indica le cose da fare. La politica deve lavorare per il bene comune e per il bisogno dei singoli. I singoli, ciascuno nel proprio ruolo, devono lavorare per il bene comune. L’esatto contrario dei personalismi deteriori dei nostri politici. Una lezione.
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