lunedì 10 settembre 2012
Si è chiuso ieri il primo happening nazionale «H¹O» organizzato dal Foi a Montichiari (Brescia). Il messaggio di apprezzamento di Napolitano. Il vescovo di Bergamo Beschi: anche oggi sono opera di comunità che non si arrendono. Don Mori: «È un bicchiere d’acqua fresca da versare a tutti i ragazzi d’Italia».
Il mio oratorio: «Sempre insieme» di Mauro Berruto
TESTIMONIANZE: Nando Pagnoncelli | Giacomo Poretti
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​Luoghi insostituibili, dove ogni giorno si combatte la sfida dell’educare e si impegnano quei ragazzi che senza fare rumore si fanno carico della comunità. L’opera dei 6.500 oratori italiani è apprezzata anche dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, che ieri ha fatto pervenire un messaggio agli oltre mille delegati che dal 6 settembre ad oggi si sono incontrati a Bergamo e a Brescia nel primo happening nazionale «H¹O» organizzato dal Foi, il Forum degli oratori. Ieri il centro fieristico di Montichiari ne ha ospitato il convegno.Se per il presidente del Forum don Marco Mori l’oratorio deve essere «un bicchiere d’acqua fresca da versare a tutti i ragazzi e le ragazze d’Italia», il direttore del Servizio nazionale per la pastorale giovanile, monsignor Niccolò Anselmi, ha ricordato che gli «oratori testimoniano l’attenzione di tutta la comunità cristiana verso le giovani generazioni».Tesi cara al vescovo di Bergamo Francesco Beschi, delegato della Regione ecclesiastica lombarda per la pastorale giovanile, che, prima da curato – come si usa dire in certe zone del profondo nord – e poi da vicario della diocesi bresciana di oratori ne ha frequentati parecchi. E che da vescovo di Bergamo, a fine anno, conta di inaugurarne 5 nuovi di zecca. «L’oratorio è una grande narrazione – spiega Beschi –, molti uomini e donne possono raccontare la propria esperienza a partire da lì. Certo, ci sono anche ombre, come in tutte le realtà vive. Ma aprire un oratorio di questi tempi resta per una comunità un grande sacrificio. Come lo era negli anni della mia giovinezza, quando nelle periferie appena costruite venivano magari eretti prima della chiesa, spesso una baracca di muratori riadattata, perché vescovo, parroco e fedeli avevano deciso che era prioritario costruire l’oratorio per i piccoli. Anche oggi è opera di una comunità che non si arrende, è la casa della gioia, icona di passione inesauribile».Non importa per Beschi che sia grande o accessoriato. «A Vighizzolo, qui vicino, l’oratorio era una stanza con un pianoforte dove si poteva solo suonare e sognare, ma insieme si costruiva. Spero si sogni anche oggi. L’oratorio è per me un luogo dove tutto sembra possibile per quanto riguarda il sogno e l’avventura. Se ripenso alla mia esperienza, l’oratorio è una storia infinita, ricomincia sempre. Qualche volta si svuotano, ma non ho mai visto un cartello che dica che sono chiusi per sempre. Andarci è rassicurante per la comunità e la famiglia perché c’è una buona rete, un progetto educativo, accoglie tutti, ma soprattutto perché è una casa fondata sulla roccia. Perché non deve essere un mondo a parte, ma un luogo dove le dimensioni della persona si ritrovano».E dove si affronta la sfida educativa, come ha sottolineato il pedagogista della Cattolica Giuseppe Mari. «La sfida richiama l’agonismo, tipico di chi non si rassegna. Perché nonostante l’entusiasmo – ha chiarito – l’esito educativo dei tempi è scarso. La pratica religiosa si attesta sul 25%, le vocazioni sacerdotali e religiose sono in crisi come il matrimonio». Per Mari «occorre far emergere l’originalità cristiana. Dio è amore e l’oratorio deve educare all’amore disinteressato e alla vera libertà. Occorre lavorare perché i giovani possano fare le loro conquiste e aumentare la propria autostima. Oggi servono luoghi di virtù, pratica dei valori che professiamo».Secondo Mario Pollo, torinese, docente di pedagogia alla Lumsa di Roma, servono oratori dove i giovani possano anche sognare. «Oggi assistiamo alla liquefazione dei legami comunitari, dove i progetti di vita individuali perdono i legami solidali. L’oratorio non deve essere specchio dei tempi, altrimenti oggi sarebbe un "non luogo" ipertecnologico. Invece deve essere un crogiuolo che permette a ciascuno di mettersi alla prova e scoprire la propria vocazione. Per scoprire che nella vita si può sognare anche insieme agli altri e che i sogni non muoiono all’alba».
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