sabato 13 settembre 2014
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Piove sulle tombe dei 100mila caduti di Redipuglia. Piove sulle colline dove 100 anni fa si è combattuto ferocemente. Sulle trincee conservate come allora. E sugli ombrelli dei 15mila fedeli che si stringono intorno al Papa. Gocce d'acqua che sembrano lacrime del cielo per i morti della "inutile strage" e di tutte le guerre, in una giornata che - come afferma Francesco - è "l'ora del pianto". Nella celebrazione che ricorda l'inizio del primo conflitto mondiale tutto concorre a creare l'atmosfera di raccoglimento e di preghiera voluto dal Pontefice. Anche il clima metereologico. Ma il pianto invocato dal Papa non è sinonimo di disperazione, quanto di conversione. È il pianto di chi finalmente riesce a passare dal "a me che importa", motto e causa profonda di tutte le guerre, al dolore, al pentimento, alla richiesta di perdono quando finalmente si considera ogni conflitto per quello che è. "Una follia", come denuncia con forza Francesco nella sua omelia. Parole che si incidono profondamente nelle coscienze dei presenti, come i nomi dei caduti sono incisi nel marmo della scalea alle spalle del palco papale. C'è chi prega, chi si commuove, chi indossa con orgoglio cappelli da alpino o da bersagliere. Tra gli altri anche i genitori del maggiore Giuseppe La Rosa, medaglia d'oro al valor militare, caduto lo scorso anno in Afganistan e simbolo di tutti i morti di quella terza guerra mondiale combattuta a pezzi, cui il Papa fa riferimento anche in questa occasione, indicandone chiaramente le cause: "Interessi, piani geopolitica, avidità di denaro e di potere e l'industria delle armi". Ma davanti al dolore di questi genitori, come di fronte a quello di tutti gli altri che hanno perduto persone care in guerra, non si può dire "a me che importa". È Il messaggio che Francesco lancia al mondo in questa mattinata in cui si è fermato in preghiera nel cimitero austro ungarico prima e nel sacrario italiano poi. Luoghi che gli erano stati narrati da suo nonno Giovanni, il quale qui aveva combattuto 100 anni fa, e di cui riceve in dono il foglio matricolare. Ed è anche una via concreta per arrivare alla pace. Non più a me che importa ma prendersi cura di chi ha fame, sete, è nudo, malato in carcere come raccorda Gesù nel Vangelo del giudizio universale proclamato durante la celebrazione. Alla fine della Messa il cielo smette di piangere. Non piove più mentre la gente va via. Un segno di speranza di quella fede che asciugherà ogni lacrima.
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