lunedì 26 marzo 2012
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Cari fratelli e sorelle,
Sono contento di essere tra voi, e desidero ringraziare vivamente Mons. José Guadalupe Martín Rábago, Arcivescovo di Leòn, per le sue gentili parole di benvenuto. Saluto l'Episcopato messicano, come pure i Signori Cardinali e gli altri Vescovi qui presenti, in particolare quelli che provengono dall'America Latina e dai Caraibi. Rivolgo inoltre il mio cordiale saluto alle Autorità che ci accompagnano e a tutti coloro che si sono riuniti per partecipare a questa Santa Messa presieduta dal Successore di Pietro.
"Crea in me, Signore, un cuore puro" (Sal 50,12), abbiamo invocato nel Salmo responsoriale. Questa esclamazione mostra la profondità con la quale dobbiamo prepararci per celebrare, la prossima settimana, il grande mistero della passione, morte e risurrezione del Signore. Questo ci aiuta anche a guardare nel profondo del cuore umano, specialmente nei momenti che uniscono dolore e speranza, come quelli che attraversa attualmente il popolo messicano ed anche altri popoli dell'America Latina.
L'anelito di un cuore puro, sincero, umile, gradito a Dio, era già molto sentito da Israele, man mano che prendeva coscienza della persistenza del male e del peccato nel suo seno, come un potere praticamente implacabile ed impossibile da superare. Non restava che confidare nella misericordia di Dio onnipotente e nella speranza che Egli cambiasse dal di dentro, dal cuore, una situazione insopportabile, oscura e senza futuro. Così si aprì la strada al ricorso alla misericordia infinita del Signore, che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr Ez 33,11). Un cuore puro, un cuore nuovo, è quello che si riconosce impotente da sé stesso e si mette nelle mani di Dio per continuare a sperare nelle sue promesse. In questo modo, il salmista può dire convinto al Signore: “torneranno a te i peccatori” (Sal 50,15). E, verso la fine del salmo, darà una spiegazione che è contemporaneamente una ferma confessione di fede: “Un cuore affranto e umiliato, tu non lo disprezzi” (v. 19).
La storia di Israele narra anche grandi gesta e battaglie, ma nel momento di affrontare la sua esistenza più autentica, il suo destino più decisivo, cioè la salvezza, più che nelle proprie forze, ripone la sua speranza in Dio che può ricreare un cuore nuovo, non insensibile e arrogante. Questo può ricordare oggi ad ognuno di noi ed ai nostri popoli che, quando si tratta della vita personale e comunitaria, nella sua dimensione più profonda, non basteranno le strategie umane per salvarci. Si deve ricorrere anche all'unico che può dare vita in pienezza, perché Egli stesso è l'essenza della vita ed il suo autore, e ci ha fatto partecipi di essa attraverso il suo Figlio Gesù Cristo.
Il Vangelo di oggi prosegue facendoci vedere come questo antico anelito alla vita piena si è realizzato realmente in Cristo. Lo spiega san Giovanni in un passaggio nel quale si incrociano il desiderio di alcuni greci di vedere a Gesù ed il momento in cui il Signore sta per essere glorificato. Alla domanda dei greci, rappresentanti del mondo pagano, Gesù risponde dicendo: “È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato” (Gv 12,23). Risposta strana che sembra incoerente con la domanda dei greci. Che cosa c’entra la glorificazione di Gesù con la richiesta di incontrarsi con Lui? In realtà c'è una relazione. Qualcuno potrebbe pensare - osserva san Agostino - che Gesù si sentisse glorificato perché andavano da Lui i pagani; qualcosa di simile all'applauso della moltitudine che dà “gloria” ai grandi del mondo, diremmo oggi. Ma non è così. “Conveniva che alla sublimità della sua glorificazione precedesse l'umiltà della sua passione” (In Joannis Ev., 51, 9: PL 35, 1766).
La risposta di Gesù, che annuncia la sua passione imminente, dice che un incontro occasionale in quei momenti sarebbe superfluo e forse ingannevole. Quello che i greci vogliono vedere, in realtà lo vedranno innalzato sulla croce, dalla quale Egli attirerà tutti a sé (cfr Gv 12,32). Lì inizierà la sua “gloria”, a causa del suo sacrificio di espiazione per tutti, come il chicco di grano caduto in terra, che, morendo, germina e dà frutto abbondante. Incontreranno Colui che, sicuramente senza saperlo, andavano cercando nel loro cuore: il vero Dio che si rende riconoscibile a tutti i popoli. Questo è anche il modo in cui Nostra Signora di Guadalupe ha mostrato il suo divino Figlio a san Juan Diego. Non come un eroe portentoso da leggenda, ma come il vero Dio per il quale si vive, il Creatore delle persone, della vicinanza e della prossimità, il Creatore del Cielo e della Terra (cfr Nican Mopohua, v. 33). Ella, in quello momento, fece quello che aveva già sperimentato nelle Nozze di Cana. Davanti all’imbarazzo per la mancanza di vino, indicò chiaramente ai servi che la via a seguire era suo Figlio: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5).
Cari fratelli, venendo qui ho potuto avvicinarmi al monumento a Cristo Re, in cima la “Cubilete”. Il mio venerato Predecessore, il beato Papa Giovanni Paolo II, benché lo desiderasse ardentemente, non poté visitare questo luogo emblematico della fede del popolo messicano, nei suoi viaggi a questa cara terra. Sicuramente oggi si rallegrerà dal cielo che il Signore mi abbia concesso la grazia di poter stare ora con voi, così come avrà benedetto i tanti milioni di messicani che hanno voluto venerare, recentemente, le sue reliquie in tutti gli angoli del Paese. Ebbene, in questo monumento si rappresenta Cristo Re. Ma le corone che lo accompagnano, una da sovrano ed un'altra di spine, indicano che la sua regalità non è come molti la intesero e la intendono. Il suo regno non consiste nel potere dei suoi eserciti per sottomettere gli altri con la forza o la violenza. Si fonda su un potere più grande, che conquista i cuori: l'amore di Dio che Egli ha portato al mondo col suo sacrificio e la verità, di cui ha dato testimonianza. Questa è la sua signoria che nessuno gli potrà togliere e che nessuno deve dimenticare. Per questo è giusto che, innanzitutto, questo santuario sia un luogo di pellegrinaggio, di preghiera fervente, di conversione, di riconciliazione, di ricerca della verità e accoglienza della grazia. A Lui, a Cristo, chiediamo che regni nei nostri cuori, rendendoli puri, docili, pieni di speranza e coraggiosi nella loro umiltà.
Anche oggi, da questo parco, con il quale si vuole ricordare il bicentenario della nascita della Nazione messicana, che ha unito molte differenze, ma con un destino ed un’aspirazione comuni, chiediamo a Cristo un cuore puro, dove egli possa abitare come Principe della pace, “grazie al potere di Dio, che è il potere del bene, il potere dell'amore”. E, affinché Dio abiti in noi, bisogna ascoltarlo, bisogna lasciarsi interpellare dalla sua Parola ogni giorno, meditandola nel proprio cuore, sull’esempio di Maria (cfr Lc 2,51). Così cresce la nostra amicizia personale con Lui, si impara quello che Egli attende da noi e si riceve incoraggiamento per farlo conoscere agli altri.
In Aparecida, i Vescovi dell'America Latina e dei Caraibi hanno colto con lungimiranza la necessità di confermare, rinnovare e rivitalizzare la novità del Vangelo, radicata nella storia di queste terre “dall'incontro personale e comunitario con Gesù Cristo che susciti discepoli e missionari” (Documento conclusivo, 11). La Misión Continental che si sta portando avanti, diocesi per diocesi, in questo Continente, ha precisamente l’obiettivo di far arrivare questa convinzione a tutti i cristiani e alle comunità ecclesiali, affinché resistano alla tentazione di una fede superficiale e abitudinaria, a volte frammentaria ed incoerente. Anche qui si deve superare la stanchezza della fede e recuperare “la gioia di essere cristiani, l’essere sostenuti dalla felicità interiore di conoscere Cristo e di appartenere alla sua Chiesa. Da questa gioia nascono anche le energie per servire Cristo nelle situazioni opprimenti di sofferenza umana, per mettersi a sua disposizione, senza ripiegarsi sul proprio benessere” (Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2011). Lo vediamo molto bene nei Santi, che si dedicarono completamente alla causa del Vangelo con entusiasmo e con gioia, senza badare ai sacrifici, anche quello della propria vita. Il loro cuore era una opzione incondizionata per Cristo dal quale avevano imparato ciò che significa veramente amare fino alla fine.
In questo senso, l’“Anno della fede”, che ho convocato per tutta la Chiesa, “è un invito ad un'autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo… La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia” (Lett. ap. Porta fidei, 11 ottobre 2011, 6.7).
Chiediamo alla Vergine Maria che ci aiuti a purificare il nostro cuore, specialmente nell’avvicinarci alla celebrazione delle feste di Pasqua, affinché giungiamo a partecipare meglio al Mistero di salvezza del suo Figlio, come Ella lo ha fatto conoscere in queste Terre. E chiediamole anche che continui ad accompagnare e proteggere i suoi cari figli messicani e latinoamericani, affinché Cristo regni nelle loro vite e li aiuti a promuovere con coraggio la pace, la concordia, la giustizia e la solidarietà. Amen.
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