lunedì 2 giugno 2014
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Il testo dell'omelia dell'arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco, in occasione del pellegrinaggio del mondo del lavoro al Santuario della Madonna della Guardia (1 giugno 2014). Cari Fratelli e Sorelle 1 il pellegrinaggio del mondo del lavoro al Santuario della Madonna della Guardia è un appuntamento caro: è qui spiritualmente presente quella moltitudine di uomini e donne, giovani e adulti, che hanno la grazia di lavorare, quelli che non sono sicuri di poter continuare, quelli che hanno perso o stanno per perdere l’occupazione, o che non l’hanno mai trovata. Dietro al lavoro vi è il pane quotidiano, la propria dignità di uomini, ci stanno le famiglie. Una ricchezza umana immensa che costituisce il tessuto solido della società, un patrimonio di fare e saper fare invidiabile, una miniera di valori umani e cristiani, una riserva di concretezza e di quel buon senso che oggi sembra tanto mancare. 2. Viviamo non solo un’epoca di cambiamenti, ma siamo dentro ad un cambiamento d’epoca. Tuttavia, come ho detto altre volte, il cuore dell’uomo non cambia e non cambierà mai. Rimane sempre lo stesso: un anelito alla bellezza della bontà, un desiderio d’amore, di vita laboriosa e serena. Il sentimento di essere inutili uccide l’anima, spegne il sorriso, toglie le forze: senza lavoro risvegliarsi al mattino è angoscia, si diventa cupi, senza speranza, nasce il risentimento che – con l’andare dei giorni – si trasforma in rabbia sorda e, a volte, violenta contro di sé e contro gli altri. Certo, non basta la voglia di lavorare e di guadagnarsi la vita, di mettere a frutto i propri talenti e di costruire insieme la società. E’ necessario che la società non sia sterile, bensì grembo fecondo e accogliente, capace di generare fiducia e lavoro. 3 Com’è noto ma spesso taciuto, la prima e fondamentale impresa resta la famiglia: essa “produce” il capitale umano, senza il quale non vi è società e benessere per nessuno. Anche per questa ragione una società saggia dovrebbe custodire e promuovere in tutti i modi questo patrimonio dell’umanità, anziché indebolirlo e sfaldarlo con ostinata ipocrisia. Si sta perdendo il lume della ragione, cioè il buon senso che riconosce le evidenze elementari dell’umano in nome dell’individuo avulso dagli altri, solamente preoccupato del proprio benessere. 4. Come dicevo, insieme alla famiglia, la società deve vedere e provvedere affinché la fiducia nel domani non venga meno, ognuno abbia la sua dignità di lavoratore e di cittadino, perché i giovani non siano costretti ad emigrare, perché chi è avanti nell’età non si trovi tagliato fuori, perché chi ha intrapreso non si disperi. I dati di questi giorni registrano milioni di senza lavoro, una folla impressionante che non può non preoccupare tutti. Si dice che i segnali positivi ormai esistono e sono documentati: lo vogliamo sperare cordialmente. Ma se questa alba incipiente riguarda la macro economia, le ricadute sull’occupazione spicciola non si vedono ancora. E intanto corre la vita delle persone e delle famiglie, degli anziani e dei giovani. Nessuno si può illudere di salvarsi da solo. Se questo vale per l’intero Paese, vale altresì per la nostra Città. Forse, Genova deve tornare all’essenziale: la sua antica opulenza non ha mai fatto perdere di vista ciò che conta di più, la laboriosità e il sacrificio, la famiglia e il futuro. Genova è sempre stata non come la cicala che svolazza spensierata e rumorosa sugli alberi, ma piuttosto come la formica che in ogni stagione si dedica al lavoro pensando al domani. Ciò non le ha impedito una vita agiata e serena, la ricerca di un benessere non per pochi ma per tutti. 5 L’essenziale non è apparire il più grande nella pubblica considerazione, non è la ricerca del posto più in vista, ma è essere onesti e capaci, è mantenere, sviluppare e creare lavoro. E per tale scopo è necessario andare avanti insieme, a testa bassa e con lo sguardo al mondo. Dividersi per gelosie o puntigli significa disperdere le forze, mancare di visione; essere irragionevolmente ancorati ai propri punti di vista vuol dire affondare tutti. La gente è stanca di vedere che, a causa di gelosie, interessi particolari, comodità, veti incrociati ad ogni livello, il lavoro non solo non arrivi a Genova, ma anche che se ne vada altrove. E allora? A che cosa sarà servito litigare per non decidere? Decidere per poi cambiare? Perché non ci può essere un fronte comune certo e definitivo, rapido nelle decisioni e nelle realizzazioni? Non dobbiamo arrenderci; dobbiamo lottare contro la sfiducia davanti alla complessità dei problemi e verso gli altri, persone e istituzioni. Il male, che non di rado ci viene sbattuto in faccia e va ad appesantire il cuore, non può oscurare tanta onestà e serietà che opera per il bene della gente. Ognuno deve fare la sua parte, secondo le sue possibilità e doveri: un grande appello va fatto certamente ai responsabili della cosa pubblica, perché favoriscano concretamente la creazione e il mantenimento del lavoro. Ma – a tutti i livelli - c’è anche bisogno che si investa con coraggio così da dare ossigeno là dove ve n’è urgente bisogno. 6. L’ascensione di Gesù al cielo, dopo la risurrezione pasquale, ci presenta il Signore che si leva verso il cielo e scompare agli occhi tristi dei discepoli. Ma non li ha lasciati soli: “Non vi lascerò orfani”. Gesù è rimasto con noi con il suo Spirito di luce e di forza, è rimasto con il Vangelo e con l’ Eucaristia, è rimasto nella sua Chiesa, tra noi se siamo riuniti nel suo nome. Sì, non ci ha lasciati soli di fronte alla vita e ai suoi problemi: Egli continua ad essere con noi. Per questo – come cristiani – non dobbiamo avere paura, ma vuole ch stiamo insieme nel suo nome: stare insieme per vivere, lottare, pensare e costruire insieme. Allora Lui sarà veramente con noi.
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