mercoledì 15 maggio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Sig. Presidente della Repubblica
Cari Confratelli nell’Episcopato
Autorità politiche, civili e militari
Cari Fratelli e Sorelle
 
         La sciagura che ha colpito il nostro Porto ha lasciato incredula e stordita l’intera Città ma, soprattutto, ha ferito le famiglie delle nove vittime e dei quattro feriti. A tutti, militari e civili,  va l’abbraccio affettuoso di Genova, della Capitaneria di Porto e della Marina Militare, l’abbraccio dell’intero Paese che – di fronte a tanto dolore – s’inchina, e invoca ché mai più accada. In questa cattedrale, siamo stretti attorno alle salme dei nostri fratelli – spiritualmente anche a chi è ancora disperso - per pregare il Signore della vita  affinché le loro anime immortali siano accolte nella  luce senza fine. E’ questa la nostra fede: la morte non è l’ultima parola su questo fragile tempo. La parola definitiva è la vita eterna, là dove incontreremo Dio e i nostri cari nell’abbraccio del suo amore; in Lui ritroveremo tutto il bene che abbiamo seminato nei giorni terreni. I legami d’amore e di amicizia, i doveri quotidiani, gli ideali nobili e veri per i quali spendiamo intelligenza e cuore, tempo e fatica, tutto è sottratto alla morsa del nulla e rimane per sempre. Sull’orizzonte del tempo brilla la luce della Croce: essa ci assicura che non siamo soli nel pellegrinaggio dalla terra al cielo, ci dice che Gesù è con noi sempre, specialmente quando il dolore bussa improvviso e impietoso alla nostra porta. La croce di Cristo è il varco attraverso il quale l’uomo sale a Dio, e Dio scende verso gli uomini con l’abbraccio della sua misericordia.  
 
           Proprio perché la vita è continuamente esposta, il Vangelo ci invita alla vigilanza cristiana: la vigilanza è il volto del bene, bene  che ognuno è chiamato ad accogliere con riconoscenza e a compiere con generosità. Bene che riempie di bellezza e di gioia i nostri giorni: in casa, in famiglia, nel lavoro. Che cosa sarebbe la  vita senza il calore della bontà che si fa dedizione e sacrificio, onestà e perdono? Sarebbe vuota e insopportabile. I nostri Amici sapevano tutto questo e lo hanno vissuto con semplicità profonda: ovunque, la bontà crea legami, crea una comunità di vita e di destino. Anche nel lavoro. Per questo la sciagura che ha percosso famiglie e amici, colleghi e istituzioni, deve diventare una prova della bontà di Genova, cioè della sua capacità di far crescere il suo tessuto umano e cristiano, sociale e lavorativo; trama di accoglienza operosa che rende più vivibile la vita e sopportabile il dolore. E’ un dovere che sentiamo nostro. Lo dobbiamo a questi fratelli che dal cielo pregheranno per i loro cari e per noi; lo dobbiamo ai loro familiari che abbracciamo con affetto grati per l’esempio di fede e di forza; lo dobbiamo a noi stessi, e lo dobbiamo a Dio che accompagna i passi del nostro peregrinare, e che un giorno sarà la nostra felicità piena e definitiva. Alle braccia materne della Madonna ai piedi della croce; a Lei, Regina di Genova, affidiamo i nostri fratelli, la Città, affidiamo il nostro Paese.
 
 
                                                                                                
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: