venerdì 22 settembre 2017
In Belgio nuovo accorato appello di padre Stockman alla Fondazione che si è dichiarata favorevole alla pratica verso i malati psichiatrici
«Nei nostri ospedali inaccettabile l'eutanasia»
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Preoccupazione, sorpresa, amarezza, ma anche speranza di un passo indietro all’ultimo momento. È un accorato appello quello che padre René Stockman, superiore generale dei Fratelli della Carità, rivolge in una lunga lettera ai componenti del Consiglio di amministrazione della Fondazione che in Belgio gestisce i quindici ospedali che fanno capo alla famiglia religiosa.

«Mi sono sentito imbarazzato quando ho appreso la decisione da voi presa lo scorso 12 settembre – scrive – di proseguire nella possibilità di praticare l’eutanasia nei pazienti psichiatrici in determinate condizioni all’interno delle nostre strutture ospedaliere». Una risposta alla precisa richiesta della congregazione e della stessa Santa Sede di recedere da quella decisione, in un Paese dove l’eutanasia è legale. Ma il Cda, composto da 15 membri di cui solo 3 religiosi, ha risposto “no”. Un diniego giustificato anche con la necessità di un presunto rispettato delle «sensibilità culturali locali».

«Questo è vero per vari aspetti dell’assistenza sanitaria – replica padre Stockman –, ma l’eutanasia non può mai essere considerata una pratica medica». E proprio sul tema il superiore generale cerca un dialogo con il fronte laico della Fondazione, ma ribadendo con chiarezza che «il rispetto assoluto per la vita è un valore universale è non può essere semplicemente considerato come materia specifica di una cultura». Su questo punto nessun compromesso, come aveva già anticipato in un’intervista ad Avvenire a metà agosto, anche perché «il rispetto per la vita è assoluto e partendo dal carisma i Fratelli della Carità ribadiscono che questo rispetto precede e supera tutti gli altri valori fondamentali», compreso quello tanto invocato della libertà di determinazione personale. «L’eutanasia non è un atto terapeutico – ribadisce padre Stockman –, né un atto medico».

Al contrario la famiglia religiosa «ha sempre massimizzato il ripristino della dignità umana e delle opportunità di vita di ogni paziente che riceve il trattamento» a cominciare dai malati mentali per i quali invece ora si ammetterebbe l’eutanasia. Ma «dare a queste persone la vita è stato ed è sempre stato il motto della congregazione», ribadisce con forza il superiore generale. Ma «restiamo aperti al vero dialogo», continua nella sua lettera padre René Stockman, «a patto che si tratti sul fatto di non eseguire l’eutanasia all’interno delle strutture sanitarie dei Fratelli della Carità. Sì, le considero ancora strutture dei Fratelli della Carità», aggiunge. Passaggio di non poco conto, che di fatto non vuole ancora chiudere la porta in modo definitivo. Infatti, davanti a un reiterato “no” da parte della Fondazione, alla congregazione religiosa non resterebbe altro che «ritirarsi dalle strutture» togliendo di fatto la connotazione di “struttura sanitaria cattolica” agli ospedali gestiti dalla Fondazione. Anche la Santa Sede è stata chiara nel suo intervento attraverso la Congregazione per gli istituti di vita religiosa: “no” all’eutanasia in strutture cattoliche.

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