giovedì 16 giugno 2016
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Rispetto per tutte le famiglia, nell’accoglienza di ogni situazione concreta; rifiuto di una pastorale "dei ghetti"; dovere di ascoltare le testimonianze degli anziani che devono offrire ai giovani occasioni di speranza, ragioni per guardare alla bontà della scelta matrimoniale, spunti per indicare una prospettiva di senso. Le tre indicazioni proposte ieri dal Papa al convegno diocesano di Roma, riflettono lo spirito di fondo dell’Amoris laetitia di cui in conclusione Francesco ha ribadito le parole chiave: accoglienza, accompagnamento, discernimento e integrazione. Sintesi di una rivoluzione pastorale che deve cominciare da un abbraccio senza esclusioni e senza selezioni. Tutte le famiglie hanno bisogno di essere aiutate e accompagnate a partire dalle loro condizioni di vita, anche quando quelle esistenze sono intessute di fragilità, di incertezza, di precarietà. Per questo è necessario mettere da parte ogni residuo di pastorale elitaria, riservata a piccoli gruppi di "perfetti" (la tentazione del pelagianesimo). Come è urgente superare il rigorismo etico che ha finito per rendere sempre meno accattivante – perché sempre più difficilmente percorribile – il Vangelo del matrimonio e della famiglia. Quante coppie si sono sentite escluse da riferimenti teologici così elevati da adattarsi ben difficilmente alle situazioni reali di fragilità e di fatica vissute nell’ordinarietà domestica? Quante coppie, tra coloro che hanno rinunciato al matrimonio negli ultimi vent’anni, avrebbero potuto guardare con occhi diversi la proposta cristiana se non l’avessero scambiata per un elenco di pesi difficilmente sopportabili? Il Papa ieri l’ha detto ribadito con il richiamo a uno dei passaggi più sorprendenti e più autentici di Amoris laetitia: «Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio» (Al, 305). Contro tutte le derive farisaiche, a cui il Papa ha fatto più volte cenno, è importante allora il ricorso alla verità del discernimento. Che è più esigente delle regole e della legge, perché coinvolge in modo diretto la persona e si adatta alla sua situazione concreta. Pensare di stabilire tante norme quante sono le situazioni reali vissute dalle persone nella loro vita di relazione, vuol dire infilarsi in un ginepraio inestricabile, che non sarebbe solo infinito, ma anche ingiusto. Il discernimento personale è invece, allo stesso tempo, più rispettoso e impegnativo. Certo, le regole sono comode. Quante volte ci lasciamo tentare da quella che Francesco ieri sera ha richiamato come illusione dell’appartenenza: «Sono bravo perché appartengo a questa associazione o a quel movimento». Perché seguo la norma e ho l’illusione di essere a posto con la mia coscienza. Invece non è così. Il discernimento è più severo, perché – quando diventa percorso autentico di maturazione e di verifica personale – scava in profondità dentro di noi e realizza in pienezza ciò che il Signore vuole. Dio infatti ci chiede di realizzare quel bene che rappresenta ciò che è meglio per noi e per la nostra famiglia, in quel determinato momento e in quella data situazione, alla luce della nostra vita di relazione e del contesto sociale in cui siamo chiamati a vivere. Ci chiede il "massimo bene possibile", che è possibile realizzare solo con il discernimento. L’applicazione rigorosa della legge richiama invece un altro concetto, "il minimo male realizzabile". È l’atteggiamento farisaico da cui Francesco ci dice di guardarci: «Rispetto il sabato e sono tranquillo». Pensare che il mondo si divida in una piccola società di giusti nel grande universo oppresso dalla colpa. Ma la vita e il Vangelo – ci avverte il Papa – non sono così. Il peccato, l’imperfezione, la limitazione che ci derivano dalla nostra finitezza sono condizioni che toccano ogni persona. Tutti abbiamo bisogno di essere salvati, cioè accompagnati a comprendere la nostra condizione. Aiutati a fare discernimento, alla luce della nostra coscienza formata e secondo gli orientamenti dei pastori. E integrati nel cammino della Chiesa, perché – come ieri sera ha ricordato Francesco – la misericordia è il «realismo dell’amore di Dio».
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