venerdì 7 febbraio 2014
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Il culmine delle celebrazioni sarà nel 2015, quando il Papa arriverà a Torino per unirsi alla festa della famiglia salesiana. L’anno che, dal prossimo agosto, si apre per ricordare il bicentenario della nascita di Giovanni Bosco, non vuole essere solo ricordo di uno dei grandi «santi sociali» dell’Ottocento, ma soprattutto l’occasione per rilanciare oggi quello stesso spirito che fu capace di cambiare la realtà in cui egli visse e operò.E infatti «Missione don Bosco con i giovani e per i giovani» è, non per caso, il tema scelto per il bicentenario, perché «se don Bosco duecento anni fa è stato capace di fare questo, noi oggi dovremmo avere la stessa capacità di leggere la realtà giovanile, e la grande sfida per noi membri della famiglia salesiana è il mondo giovane, il pianeta giovani».Così don Pascual Chávez, rettore maggiore dei Salesiani, ha presentato ieri a Roma il bicentenario, in una conferenza stampa svoltasi presso presso la sede della stampa estera in Italia, alla quale ha preso anche parte monsignor Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio per la la giustizia e per la pace. «Noi salesiani – ha detto Chávez, messicano, nono successore di san Giovanni Bosco alla guida dei salesiani, dopo l’elezione avvenuta nel 2002 – non dobbiamo essere contenti di coloro che vengono alle nostre istituzioni, non dobbiamo essere di quelli che si contentano delle diverse attività o programmi, ma cercare quelli che restano esclusi, quelli che sono lontani, quelli che sono indifferenti». E, ha aggiunto, «quando sento papa Francesco che dice dobbiamo essere dei calleteros, lui lo dice in spagnolo, della fede, per dire che bisogna andare per le strade, per dire che la fede si deve vivere, si deve trasmettere, ecco, è questo che dobbiamo fare: dobbiamo cercare i ragazzi sulla strada. Questa sarà la grande sfida, come raggiungere i giovani, come riuscire a stare in contatto con loro, per aiutarli a vincere la grande sfiducia in se stessi, che oggi è tremenda, e che è frutto anche della grande solitudine in cui vivono, nonostante i nuovi mezzi tecnologici sembrano mettere il mondo a loro disposizione».Ed è dunque questa la ragione «per cui noi ci apprestiamo a celebrare il suo bicentenario, non certamente per motivi di euforia per il suo anniversario, o per nostalgia del passato», quanto piuttosto «perché siamo consapevoli della sua validità al giorno d’oggi». Perché, se è vero che «i giovani da una parte godono di più possibilità, e su questo non c’è dubbio, anche grazie alle diverse condizioni sociali, tuttavia i problemi continuano a essere gli stessi. Troviamo infatti una fascia molto vasta di persone che deve lottare molto per trovare il senso della vita, opportunità di sviluppo dei propri talenti, delle proprie potenzialità, e soprattutto la possibilità di inserimento nel campo lavorativo».È proprio questo, del resto, che Giovanni Bosco ha voluto fare, come ha poi messo in evidenza Toso nel suo intervento, col quale ha voluto rimarcare le ripercussioni e l’impatto sociale che la "formula" inventata dal santo, il suo metodo educativo, ha avuto sulla società della sua epoca, unanimemente riconosciuta dai maggiori pedagogisti del tempo, come Giuseppe Lombardo Radice, e non solo.E Toso ha anche ricordato, a proposito della sintonia col Papa e della prontezza con cui Francesco ha aderito all’invito di andare a Torino, la lettera (riportata proprio la scorsa settimana da L’Osservatore Romano) scritta nel 1990 da Jorge Mario Bergoglio al salesiano Cayetano Bruno, storico della Chiesa in Argentina. In essa ricordava Enrique Pozzoli, il salesiano amico di famiglia che lo aveva battezzato il 25 dicembre 1936 e aveva seguito il suo cammino spirituale, e raccontava tra l’altro dell’accusa rivoltagli a un certo punto «...che questo non era un apostolato proprio dei gesuiti; che io avevo salesianizzato (sic!) la formazione. Mi accusano di essere un gesuita pro-salesiano...».
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