sabato 23 novembre 2019
Il camilliano Giovanni Contarin racconta la sua presenza nel Paese asiatico dal 1986
Padre Giovanni Contarin

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Il missionario camilliano Giovanni Contarin è arrivato in Thailandia a 29 anni, nel 1986. Nel suo bagaglio il carisma del fondatore dell’Ordine, san Camillo de Lellis, e le sue esperienze maturate in Seminario e nel servizio in Italia. «Sono venuto qui per essere accanto alla gente. Anche negli anni nel Seminario diocesano di Samphran, subito dopo il mio arrivo nel Paese, ho alternato l’attività educativa all’impegno sociale – ricorda durante la nostra conversazione nel centro per anziani recentemente aperto a Korat –. Per anni, con i seminaristi ho seguito la promozione umana di un centinaio di famiglie». Immigrati da aree rurali, «vicini di casa», che vivevano in condizioni che persino i thailandesi dei dintorni ignoravano e ai cui figli i futuri sacerdoti thailandesi, guidati dal missionario italiano, garantivano non solo cibo e medicine, ma anche istruzione complementare.

Arrivato all’ospedale camilliano di Bangkok nel 1992 padre Giovanni si è posto da subito in contatto con altri che cercavano di costruire un’alternativa sia di cura, sia di ospitalità e riabilitazione per chi era colpito dal virus Hiv o dall’Aids, allora emarginato o segregato per timore del contagio ma anche per le resistenze culturali. Una cultura di forte impronta buddista che considera i problemi individuali conseguenza di atti passati non consoni alla morale e quindi tende a nascondere o ignorare malattia, devianza ed emarginazione.

Punto d’avvio è stata una comunità ospitata in alcuni locali presi in affitto a Bangkok, con un programma di cura e riabilitazione in collaborazione con ospedali governativi. Quasi due anni dopo, minacce e azioni intimidatorie hanno costretto il missionario a spostare altrove la sua iniziativa. L’apertura nel 1995 di una struttura per i sieropositivi a Rayong, non distante da Pattaya, località considerata la principale meta del turismo sessuale in Asia, è stata un’iniziativa pionieristica che ha fatto scuola e che ha anche incentivato una cooperazione proficua con strutture sanitarie pubbliche e istituzioni di ricerca e assistenza straniere.

Dalla cura dei “condannati dell’Aids” a quella dei figli di donne sieropositive, dall’istruzione per i giovani colpiti dallo stigma della malattia fino alla qualificazione professionale degli adulti per favorirne l’integrazione sociale, l’esperienza del Centro sociale camilliano si è estesa ad altri luoghi, senza mai mancare di coinvolgere l’Ordine insieme con istituzioni e comunità locali, creando così un circolo virtuoso di esperienze che non disperdesse le sofferenze degli ammalati e creasse sinergie anche di responsabilità. «In base alla mia esperienza – segnala padre Giovanni – è importante far conoscere Cristo a persone che non hanno abbandonato i valori della propria cultura ma che vi hanno aggiunto la fede in un Dio misericordioso che vuole loro bene e li tratta da figli».

Con uguale impegno e senza mai venire meno al carisma camilliano di assistenza agli ultimi colpiti da infermità, negli ultimi anni il missionario veneto ha portato a conclusione un centro-pilota per l’assistenza ai disabili a Lad Krabang, sobborgo della capitale thailandese, e da luglio 2017 è diventato coordinatore del nuovo centro per anziani di Korat, città in grande espansione a 250 chilometri da Bangkok. Una diocesi che ha 6.500 fedeli e dove nelle scuole cattoliche studiano oltre 23mila studenti. «Penso che il ruolo della famiglia tradizionale sia stato erroneamente e colpevolmente trascurato in nome di un benessere improntato sulla legge del profitto e sul mito della ricchezza. Ciò ha portato a un’accentuata diminuzione delle famiglie numerose e allargate in un sistema abitativo ricco di spazi ed ambienti sereni tipici del villaggio. In questa nuova situazione l’anziano rimane spesso solo ed emarginato, avendo perso il suo ruolo sociale. I costi diventano così l’elemento determinante per la sua sorte».

Da qui l’iniziativa di Korat dove convergono necessità e capacità di assistiti, personale e volontari, che raccorda istituzioni, comunità locale e Chiesa «affinché ciascuno sia senta partecipe e nessuno escluso». Una sfida oltre i pregiudizi e i dubbi, lanciata senza incoscienza e con una fiducia profonda nell’uomo. Anche nella Provvidenza, che in questo caso ha agito attraverso il vescovo di Korat che ha donato il terreno, e attraverso benefattori italiani e stranieri, fra cui alcuni donatori thailandesi e la fondazione Pro.Sa di iniziativa camilliana che ha finanziato le indispensabili attrezzature per la fisioterapia.

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