lunedì 25 marzo 2013
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L'hanno riscoperta in tempi non sospetti. Era il 6 gennaio, e la prima esecuzione in Lombardia l'hanno regalata a Crema. Poco prima, a quella partitura avevano dato vita a Bra (Cuneo). Ma già nel 2010 le note dell'opera erano risuonate con loro a Roma, Napoli, Carpi, Pavia, Perugia e Udine. Il 23 giugno replicheranno al Ravenna Festival. E l'elezione di Papa Francesco è destinata a moltiplicarne le richieste.  Loro sono il coro Costanzo Porta di Cremona, diretto dal giovane Antonio Greco. Lei la “Misa criolla” per coro, trio vocal e strumenti andini. La Messa creola. E cioè la Messa del cardinal Jorge Mario Bergoglio, l'attuale Papa. Quella composta nel 1963, all'indomani del Concilio. Quella stessa che ora compie 50 anni. Porta la firma di Ariel Ramirez, genio sfornato dal conservatorio di Buenos Aires. I suoi testi, quelli canonici della Messa, sono in spagnolo. E i ritmi? Li ascolti, e quasi non credi alle tue orecchie. Il Kyrie a tempo di vidala e baguala, movenze tipiche del folklore argentino. Il frizzante Gloria a ritmo di carnavalito. E poi il Credo, una chacarera trunca, e poi ancora il Sanctus, in stile Carnaval de Cochahamba. Fino all'Agnus Dei, ispirato alla Pampa argentina. Già, ma cosa c'entra il “Costanzo Porta” con tutto ciò? Perchè una formazione che ha vinto concorsi nazionale e internazionali, vivendo da protagonista importanti festival di musica antica e barocca, tutt'un tratto si cimenta con un simile repertorio? In verità, “questa Misa è un vero e proprio progetto culturale – spiega Greco -: un'indagine profonda, articolata, ispirata, che Ramirez condusse riguardo ai ritmi, le danze, le tradizioni popolari del sud America”. Il musicista ne è certo: “tutto questo, incarna il senso del termine creolo: la radice, che conduce al latino creo, contiene il senso della genesi, del nuovo, ma al tempo stesso anche il legame con chi genera”. Greco parla di “viaggio a ritroso”. Che ha permesso a cantori, musicisti e pubblico di “scoprire il punto di contatto con la nostra cultura”. Ma anche “di comprendere come mai una tradizione tanto lontana ha generato in noi un senso così profondo di appartenenza. E la nostalgia per una terra che non abbiamo mai visitato”.   
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