giovedì 26 dicembre 2019
La "lettera di Natale" di monsignor Bertolone sferza i fedeli: «Quando abbiamo rinunciato a un'anima e a un cuore? Forse chinando il capo alla prepotenza mafiosa?»
Monsignor Bertolone

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Catanzaro. «Carissimi calabresi, guardiamoci dentro. Cerchiamo di capire quando, rinunciando ad un’anima e a un cuore, abbiamo scelto di non essere più dei cittadini di questa nostra terra calabrese, se non anagraficamente. Quando è successo? Forse quando abbiamo chinato il capo davanti alla prepotenza mafiosa, oppure ci siamo girati dall’altra parte di fronte alla corruzione, o siamo passati oltre ignorando ingiustizie e povertà, gli ultimi, i poveri, gli “scartati”, gli emarginati».

Scuote le coscienze spesso addormentate o comunque piegate dei suoi conterranei, l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza episcopale calabra. Pochi giorni dopo l’ennesima inchiesta giudiziaria che ha scosso alle radici i palazzi calabresi, oltre a colpire i clan di ‘ndrangheta, s’è rivolto a tutti e ciascuno con un messaggio natalizio che definisce «una letterina di Natale, simile a quelle che i piccoli di un tempo mettevano sotto i piatti sulla tavola di quel meraviglioso giorno di festa».

Antiche schiavitù

Citando il Sogno di Natale di Luigi Pirandello, il presule insiste sul concetto del coraggio, della cittadinanza attiva, della forza di resistere, condannando la rassegnazione che «per tanto, troppo tempo, ci è sembrata una scelta accorta e poco rischiosa: sempre meglio questo che alzare il capo chino, battersi, spezzare le catene di antiche schiavitù, tornare a riprendersi la vita e con essa il Natale, il suo messaggio. Soprattutto è senz’altro meglio rimettersi in compagnia del Festeggiato del Natale, cioè del Divino Viandante, a cui non appare mai troppo angusta o meschina la nostra anima. Sentiamoci tutti, quale che sia il nostro ruolo, impegnati al servizio della persona. Trasmettiamo agli altri il potere dell’amore fraterno e non l’amore per il potere! Quando il potere spinge gli esseri umani verso l’arroganza, la poesia del presepe ricorda loro i suoi limiti; quando il potere corrompe, la poesia del presepe rigenera. Ed in quella poesia ricerchiamo, piuttosto, la sofferenza, la disperazione, la solitudine di tanti, magari anche di noi stessi e diamo loro un significato, un valore, un argine, non più indifferenza ed ansia», insiste l’arcivescovo.

Il pericolo ignavia

Monsignor Bertolone chiede ai calabresi d’essere «uomini e donne autentici, a dare importanza alle cose che davvero contano, a liberare il cuore dalle futilità per far spazio, invece, a un messaggio d’amore? Che è quello, poi, sul quale fondare una quotidianità diversa, sottratta alle logiche dello scambio e svestita dei panni dell’ignavia. È difficile, lo so, e pure impegnativo, ma è una necessità, fuori dalla quale non esiste salvezza. Non lasciateVi incantare dalle sirene, dai falsi profeti, dai venditori di fumo. Da Vescovo “impertinente”, che lascia parlare le Sacre Scritture con la voce di coscienze libere e critiche, Vi auguro di poter scegliere di tornare a vivere da uomini e donne liberi, perché solo quando si sente il gusto della vita illuminata dalla luce del bimbo di Betlem, si resiste a tutto e si diventa costruttori di speranza e di un mondo nuovo.

In coda il presidente dei vescovi calabresi richiama il grande calabrese Corrado Alvaro. «Natale è la festa più bella di tutte perché con la nascita del Signore l'innocenza tornò sul mondo. Da allora, questa è la festa della speranza e della pace».

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