lunedì 25 febbraio 2013
Le coppie di diversa appartenenza confessionale tra dolore per le divisioni e aspirazione all’unità. L’attualità di una realtà in crescita tra aspetti giuridici ecumenici e pastorali al centro di un convegno nazionale a Roma.
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​Vivono ogni giorno la sofferenza delle divisioni nella Chiesa, ma - grazie ad una solida preparazione - possono diventare segno di aspirazione all’unità. Le famiglie nate da un matrimonio misto sono in questo senso specchio della situazione ecclesiale e terreno fertile per realizzare una piena comunione. Ecco perché, di fronte ad un fenomeno che la globalizzazione e i flussi migratori hanno accelerato, occorre lavorare sul fronte formativo e pastorale, come è emerso dal Convegno nazionale sui matrimoni misti promosso dagli Uffici Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, per i problemi giuridici e per la pastorale della famiglia. Poiché nei coniugi di diversa appartenenza ecclesiale «si riflette la separazione tra le Chiese», intensificare la cura pastorale, ha rilevato Angelo Maffeis, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, appare la strada che «la comunità cristiana è chiamata a percorrere per aiutare i fedeli legati in un matrimonio misto a rispondere alla vocazione insita nella loro condizione, così da realizzare la possibilità di crescita della comunione ecclesiale di cui la loro unione è portatrice». Senza tuttavia cadere nell’errore, ha ammonito Maffeis, di pensare che «l’unione delle Chiese si realizzi attraverso la costruzione di una "terza Chiesa", cioè di una comunità che supera i vincoli e le resistenze delle Chiese ufficiali e si pone come alternativa ecumenica rispetto ad esse». Per favorire un vero ecumenismo, infatti, è fondamentale avere una conoscenza approfondita delle norme e della tradizione delle altre confessioni, come ricorda il documento conciliare Unitatis Redintegratio evocato da monsignor Ciril Vasil’, segretario della Congregazione per le Chiese orientali, che ha parlato dell’urgenza di uno studio che abbia le cifre della lealtà e della benevolenza. Nel suo intervento, Vasil’ si è soffermato sulla problematica di matrimoni misti tra cattolici e ortodossi dal punto di vista ecumenico evidenziando proprio la necessità di un dialogo sincero sulle questioni teologiche. Del resto, ha spiegato Adolfo Zambon, vicario giudiziale del Tribunale ecclesiastico regionale del Triveneto, molti sono gli aspetti differenti tra cattolici e orientali non cattolici a livello giuridico e canonico che non possono essere trascurati: il principio dell’indissolubilità del matrimonio, la prova dell’avvenuto Battesimo, la modalità celebrativa del rito. Sull’importanza di una "adeguata preparazione" ha insistito poi Antonio Giraudo, docente della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e vicario giudiziale aggiunto del Tribunale ecclesiastico regionale piemontese, per il quale serve una formazione della coppia che «attinga non solo all’insegnamento cattolico sul matrimonio come sacramento, ma sappia valorizzare quanto appartiene all’insegnamento di queste altre comunità ecclesiali, senza nascondere le divergenze o rendendole di per sé ostacolo insuperabile alla celebrazione di un valido matrimonio». Una cura altrettanto appropriata deve essere infine riservata ai casi di matrimonio misto tra cattolici e musulmani. Andrea Pacini, docente alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e Paolo La Terra, cancelliere della diocesi di Ragusa, hanno infatti ribadito che la riflessione sulla religione, sulla cultura, sulla famiglia di appartenenza e soprattutto sull’educazione dei figli nella fase preparatoria insieme al "sostegno pastorale" della coppia dopo la celebrazione del matrimonio sono indispensabili e da incoraggiare.
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