mercoledì 25 agosto 2010
Viaggio nelle case di accoglienza fondate dalla beata dopo il crollo del comunismo. Alla periferia di Tirana le Missionarie della Carità accolgono disabili lasciati soli dalle famiglie, poveri, anziani e ragazze madri.
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Bandiere rosse con l’aquila bicefala albanese lungo tutto il boulevard di Deshmerot e Kombit. Gigantografie di Madre Teresa ovunque, sui palazzi. Tirana è pronta a celebrare i cento anni della sua nascita, ma verso la città vecchia, dietro la scenografia di specchi e lo sfarfallio di neon della nuova capitale, tutto più o meno, è come prima.In via Brahim Tukiqi, tra i caseggiati tristi del regime con i muri scrostati e dal colore sbiadito, c’è "Tirane nje" la prima casa che Madre Teresa fondò nella sua Albania. Era il 1991, il regime esalava gli ultimi respiri. Alla fondatrice delle Missionarie della Carità, un regime che aveva circa 50 anni di persecuzione da farsi perdonare, donò alcune casupole che avevano ospitate altre suore, prima che fossero cacciate, insieme a Dio e ai suoi santi. A questa struttura si aggiunse nel 1998 "Tirane dy", la seconda casa, alla periferia della città, ancora oggi una confusione di palazzi fatiscenti intorno all’ex azienda di trasporti, Nshrak. Da qui partono ancora tutte le corriere per il Sud dell’Albania.Troviamo suor Vittoria, italiana di Osimo. È una delle 19 religiose, indiane, filippine, francesi, africane, che nelle due case assistono persone anziane abbandonate. Alcune fanno parte del gruppetto che seguì Madre Teresa nel 1991, e suor Vittoria è stata appunto tra le prime. Dopo Tirana sono poi venute le case di Scutari, Durazzo, Elbasan e Puke. «La Madre – dice suor Vittoria – voleva portare innanzitutto Gesù nel cuore dell’Albania. Sapeva, quando venne nel suo Paese, che non lo avrebbe trovato. E lo portò con sé, dopo tanti anni». Suor Vittoria svela un episodio che chiarisce la metafora. Nella sua prima visita il Albania nel 1989, con Ramiz Alia presidente che aveva preso il testimone di Enver Hoxha, Madre Teresa aveva addosso una piccola pisside che custodiva ostie consacrate. «Portava da bere – dice la suora – in un Paese che aveva sete di Cristo». Le suore hanno reso questa idea con un murales che è proprio accanto alla porta che immette alla cappellina della casa: una religiosa prega in ginocchio davanti al Crocefisso segnato da una scritta: "Kam etje", "ho sete", appunto.A Madre Teresa fu concesso il passaporto albanese. Lei ringraziò Alia, ma fece capire, decisa, che questo non le bastava. Chiedeva di più e al presidente forse chiedeva troppo. In una lettera di ringraziamento gli scrisse: «Dopo molti anni di preghiera, il buon Dio mi ha concesso di vedere la mia gente. Spero, insieme, di fare qualcosa di bello per Dio e per la nostra nazione». Suor Vittoria, che le è stata vicina in questo desiderio di creare di qualcosa di bello per l’Albania, ha un ricordo vivo: «Di lei mi colpiva la rapidità nel prendere le decisioni e la fermezza, come se sapesse dal principio che quella era la strada giusta. Fu decisa anche nella creazione di queste case». In Albania, Madre Teresa sarebbe tornata altre due volte, e nessuno più di lei poteva mostrare a Giovanni Paolo II la ricchezza dell’animo albanese. Lo accompagnò infatti a Tirana nel 1993.Tutte le religioni avevano sofferto negli anni del regime. Tanti pagarono con la vita, e tutte le chiese e gli altri templi furono distrutti e oltraggiati. Nel 1991 nemmeno i musulmani avevano più un luogo in cui pregare. La moschea di Tirana, che è la prima dell’Albania, era stata destinata a ospizio per i poveri. Madre Teresa si offrì ai capi religiosi dell’islam albanese di prendersi cura di quelle persone, così da avere la moschea libera in cui riunirsi e pregare. Furono le prime persone ospitate. Tefta e Prena, due di quelle donne, sono ancora vive. Prena ha 103 anni. "Tirane nje" ospita una trentina di uomini, portatori di gravi handicap, abbandonati dalle loro famiglie. A "Tirane dy", le suore di Madre Teresa accolgono più di quaranta anziane, molte non autosufficienti, di cui la famiglie si sono liberate. Le hanno raccolte per strade, accolte e assistite. Fino all’anno scorso, in questa casa erano ospitate anche ragazze madri, alcune convinte a non abortire. Adesso le famiglie di questi bimbi senza un padre sono ospitate in piccoli appartamenti perché, spiega suor Vittoria, era diventato difficile gestire anche neonati insieme a donne anziane non più autosufficienti. Una di queste donne a un tratto si mostra alla finestra, accenna un sorriso e saluta inebetita. «Tutti possono pensare che l’emergenza dell’Albania sia ancora questa povertà – spiega suor Vittoria –. In realtà tutti gli albanesi hanno bisogno di Dio che li ama, li ha sempre cercati e sempre li cercherà. Madre Teresa lo aveva capito, e quella pisside, nascosta nelle pieghe del suo abito bianco e celeste, lo rivela. Venne qui per portare Cristo, al quale, pure, in Albania avevano ritirato il passaporto.
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