La prefazione del segretario di Stato al libro “Lo stupore di Dio”, biografia del «sacerdote di montagna diventato Papa». Quando pregava toglieva «zucchetto, croce e insegne episcopali per mettersi al cospetto di Dio». Nella foto a Venezia Paolo VI con il patriarca (e poi futuro Papa) Albino Luciani
Viene presentata venerdì a Roma la nuova edizione del volume di Nicola Scopelliti e Francesco Taffarel Lo stupore di Dio (Edizioni Ares, 600 pagine, 25 euro). Una biografia di Albino Luciani-Giovanni Paolo I che, a distanza di 13 anni dalla prima pubblicazione, esce con foliazione raddoppiata e interamente rivista. Il libro si apre con la prefazione del cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin che pubblichiamo di seguito.
Ad Albino Luciani mi lega una sincera devozione, e pur non avendolo conosciuto personalmente per evidenti ragioni anagrafiche ho avuto modo di rallegrarmi, in occasione della sua elezione al Soglio pontificio, avvenuta tra l’altro dopo un solo giorno di Conclave. Con lui condivido le origini venete e una religiosità tipica di queste zone, che hanno dato alla Chiesa due Pontefici nel secolo scorso: il trevigiano Giuseppe Sarto, Pio X, e lo stesso Giovanni Paolo I, bellunese, eletto successore di san Pietro in quell’ormai lontano 26 agosto 1978. Ma la figura di Luciani come pastore – pare che il Conclave lo abbia scelto per questa sua innata dote – si staglia con nitidezza fin dai primi anni, trascorsi all’inizio nel Seminario di Belluno, come instancabile vicerettore e successivamente come vescovo, per undici, nella diocesi di Vittorio Vene- to. Dalle sue omelie e dai suoi interventi pubblici emergono nettamente la profonda cultura e la solida conoscenza della dottrina, che gli consentivano di interpretare il suo tempo e di esercitare la sua missione di successore degli Apostoli, con particolare perspicacia e acutezza; segno di una non ostentata preparazione eclettica e apertura intellettuale che gli permettevano di destreggiarsi con facilità tra il sacro e il profano. Ingiustamente è stato accusato di utilizzare un linguaggio troppo semplice, scambiato per mancanza di cultura. Ma egli soleva dire: «Le nuvole alte non portano pioggia».
«Accusato di usare un linguaggio semplice, era in realtà un intellettuale che univa sacro e profano. Voleva una Chiesa che raccogliesse le sfide della società contemporanea». E di sé diceva: sono povera polvere
Basta però imbattersi nei suoi scritti, a partire dal celebre Illustrissimi, lettere immaginarie ai grandi della storia, per rendersi conto della profondità della sua preparazione culturale e religiosa. Il suo stile accattivante, a volte anche brioso, invoglia la lettura che consente di incappare in piacevoli originalità e in deduzioni singolari. Si dimostrò fermo e risoluto in più di un’occasione, sia a Vittorio Veneto che a Venezia, sedi che non furono di certo esenti da problemi e difficoltà. Partecipò in quel periodo, con entusiasmo, al Concilio Ecumenico Vaticano II mantenendo uno stretto legame con la diocesi di appartenenza, inviando da Roma, frequentemente, resoconti dettagliati ai sacerdoti, ai seminaristi e ai fedeli. Non a caso scelse come motto del suo stemma episcopale Humilitas. I vittoriesi che l’accolsero come novello vescovo sentirono pronunciare queste inusuali parole: «Io sono polvere; la insigne dignità episcopale e la diocesi di Vittorio Veneto sono le belle cose che Dio si è degnato di scrivere su di me». E nella sua Canale d’Agordo, vicino a Belluno, sempre in quel periodo, durante un’omelia nella chiesa che lo vide crescere nella fede, disse: «Io sono il piccolo di una volta, io sono colui che viene dai campi, io sono la pura e povera polvere; su questa polvere il Signore ha scritto la dignità episcopale dell’illustre diocesi di Vittorio Veneto. Se qualche cosa mai di buono salterà fuori da tutto questo, sia ben chiaro fin da adesso: è solo frutto della bontà, della grazia, della misericordia del Signore».
All’innata umiltà della sua persona – si racconta a tal proposito, che quando pregava togliesse lo zucchetto, la croce e tutte le insegne episcopali per mettersi umilmente al cospetto di Dio – non va disgiunto il suo sorriso, al punto da venir chiamato il Papa del sorriso. Sicuramente dietro questa espressione non v’è formalismo, né atteggiamento di circostanza, piuttosto un grande esercizio all’accoglienza e alla disponibilità verso il prossimo, soprattutto verso i più poveri. Per questo papa Luciani è entrato ed è rimasto nel cuore della gente.
Il 15 dicembre 1969, Paolo VI lo designò patriarca di Venezia e per otto anni governò la diocesi lagunare. Era il periodo delle contestazioni studentesche e delle agitazioni operaie. Seppe dialogare con gli operai di Marghera e maturò l’idea che la Chiesa dovesse raccogliere le sfide della società contemporanea, ma senza cedere nei principi. Nel settembre del 1972, da patriarca ricevette a Venezia Paolo VI, diretto a Udine per il Congresso eucaristico di quell’anno; in quell’occasione il Pontefice, in piazza San Marco, di fronte a migliaia di persone si tolse la stola pontificia e la pose sulle spalle di Luciani, che arrossì vistosamente. Un gesto profetico? Il 5 marzo 1973 fu creato cardinale.
Ma eccoci al 1978, l’anno dei tre Papi. Il Conclave del 25 e 26 agosto 1978, apertosi dopo la morte di Paolo VI, dopo soli quattro scrutini, avvenuti tutti e quattro il giorno 26, vide la fumata bianca a favore del cardinale Luciani, che si presentò alla città e al mondo intero dalla loggia di San Pietro col doppio nome dei suoi predecessori. Il suo fu uno dei pontificati più brevi della storia della Chiesa, solo trentatré giorni, rimasti però nel cuore del popolo cristiano. In questa nuova edizione rivista da Nicola Scopelliti, in seguito alla scomparsa di monsignor Francesco Taffarel, notevolmente aggiornata e arricchita di ulteriori fatti e aneddoti, è possibile ripercorrere la vita del venerabile Albino Luciani, attraverso le sue riflessioni mai scontate, gli interventi sui giornali, le omelie che riflettevano un pensiero limpido e coerente. Si è voluto, con questo libro, attraverso documenti originali, che ci permettono di apprezzare la genuina figura di Luciani, ricostruire senza sovrastrutture e inutili orpelli il percorso biografico di questo eminente ed umile sacerdote di montagna diventato poi Papa.