venerdì 24 ottobre 2014
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Era il 1997 quando venne firmata l’agognata Convenzione contro la corruzione delle multinazionali, messa a punto dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (Ocse). Sembrava un momento di svolta. Ma a 17 anni da quell’intesa solo 4 dei 41 Paesi firmatari (Usa, Germania, Regno Unito e Svizzera) hanno messo in campo strumenti efficaci per perseguire e sanzionare le aziende che corrompono i pubblici ufficiali all’estero.  Lo sostengono studi indipendenti, come quelli condotti da Transparency International. La Convenzione è stata adottata nel 1997 ed è entrata in vigore il 15 febbraio 1999 con lo scopo di contrastare le pratiche di corruzione di pubblici ufficiali stranieri da parte di aziende multinazionali. I risultati sono deludenti: dai colossi dell’energia a quelli delle costruzioni, per finire nei soliti produttori di armi, le cronache non mancano mai di riportare episodi con al centro passaggi illeciti di denaro e scambi di favori. L’Italia, che ha introdotto la convenzione nel 2001, secondo Transparency si colloca nuovamente nella fascia di Paesi con un «livello di implementazione moderato». Dal 2010 al 2013 sono stati registrati tre nuovi importanti casi di corruzione internazionale a carico di alcune tra le principali multinazionali italiane, mentre solo nell’anno 2012, secondo i dati del Ministero della Giustizia, sono stati aperti ben 9 fascicoli su cui ancora si indaga.  In 33 Paesi firmatari le azioni rivolte a prevenire la corruzione sono addirittura giudicate ininfluenti o del tutto inesistenti. Segno che non c’è alcuna volontà di fermare questa pratica che rafforza i patrimoni e il potere di pochi a danno dei più deboli. In Europa sono particolarmente colpiti i Paesi più provati dalla crisi, dunque i più deboli. Con Atene a fondo classifica e Madrid precipitata in un anno da trentesimo al quarantesimo posto.  La riprova arriva da uno studio della 'Wealth-X Agency' redatto con l’assistenza dell’istituto bancario elvetico Ubs. I ricercatori hanno scoperto che in Grecia, Paese più volte vicino a dichiarare fallimento, ci sono 11 miliardari, due in più rispetto al 2013 e il valore totale dei loro patrimoni raggiunge i 14 miliardi di euro, in aumento rispetto ai 12,4 miliardi nel 2013. Come abbiano fatto a diventare così ricchi quando intere fasce sociali rovistano nei cassonetti sarebbe materia di interesse giudiziario. Ma anche la Grecia figura tra gli stati che dal punto di vista normativo non ha fatto molto per applicare gli accordi internazionali contro i professionisti delle tangenti.  A voler stilare una graduatoria tra tutti i Paesi del mondo, dunque aggiungendo i circa 15o che non hanno alcuna intenzione di aderire agli impegni dell’Ocse, le cose per alcune economie avanzate, come quella italiana, non vanno molto meglio. Nell’Indice internazionale sulla percezione della corruzione la Penisola è al posto numero 69, terzultima in Europa e migliore solo di Bulgaria (77) e Grecia (80). Nel Vecchio Continente la zavorra delle tangenti pesa, secondo dati di Bruxelles, per circa 120 miliardi all’anno, tanto quanto il Pil di Lussemburgo, Lettonia, Bosnia e Albania messi insieme.
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