martedì 9 ottobre 2018
Insomma, meglio puntare sul sostantivo – cristiani – che sull’aggettivo lgbt. Così si è espresso il vescovo Semeraro al Forum nazionale dei cristiani Lgbt
Un momento del Forum nazionale dei cristiani lgbt ad Albano Laziale

Un momento del Forum nazionale dei cristiani lgbt ad Albano Laziale

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«Siete gruppi cristiani e ciò mette in atto un titolo di fraternità. “Cristiano è il mio nome”, scriveva Paciano di Barcellona nel quarto secolo: questo permette a tutti i cristiani di chiamarsi per nome. È questo il titolo per il quale vi riconosco fratelli. È verità di sempre, è la verità del Battesimo che ha impresso in noi un sigillo di figliolanza e di fraternità (carattere battesimale) che nulla, neppure il peccato, riuscirà mai a distruggere».

Insomma, meglio puntare sul sostantivo – cristiani – che sull'aggettivo lgbt. È un passaggio del lungo, caloroso intervento rivolto sabato dal vescovo di Albano, e segretario del C9, Marcello Semeraro, al Forum nazionale dei cristiani Lgbt che per tre giorni ha radunato, proprio nel Comune sui Castelli romani, oltre duecento persone. Tanti giovani ma anche tanti genitori e operatori pastorali. Mamme e papà alla ricerca di una parola di conforto per comprendere sempre meglio il proprio ruolo in situazioni mai semplici né scontate, al di là di certa retorica sull’ormai raggiunto livello di tolleranza diffusa. Sacerdoti ed educatori attenti nello sforzo di mettere a fuoco come dare concretezza alle indicazioni di Amoris laetitia (n.250), sulla necessità di offrire a chi manifesta tendenze omosessuale «gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita».

Da tutti gli interventi è emersa l’urgenza di un approfondimento antropologico, biblico e teologico del fenomeno omosessualità; la necessità – anche sulla base di quanto sollecitato da Semeraro – di una pastorale inclusiva e non più di nicchia, oggi promossa e realizzata in modo quasi carbonaro per difendersi dai possibili attacchi di chi non perde l’occasione per stracciarsi le vesti e gridare allo scandalo; l’opportunità che le comunità cristiane vivano l’accoglienza e l’effettivo riconoscimento della dignità personale dei figli di Dio nelle forme concretamente possibili, ma senza mai perdere di vista la logica del discernimento. Per sintetizzare questi bisogni il vescovo di Albano ha preso spunto anche dal documento inviato alla Segreteria del Sinodo da alcuni giovani lgbt, in cui si auspica da parte della Chiesa una maggiore vicinanza e si chiede di continuare ad interrogarsi per capire cosa proporre ai giovani che «decidono di costituire coppie omosessuali» eppure continuare ad essere vicini alla Chiesa.

Semeraro ha ricordato che questi giovani si sentono spesso feriti ma ha aggiunto: «I “feriti” siamo anche noi adulti che ci proponiamo di accompagnarvi e sostenervi», ma proprio la fragilità può aiutare a scoprire tenerezza, solidarietà, coscienza dei propri limiti. A proposito della necessità di un rinnovamento della teologia, Daniela Di Carlo, pastora valdese di Milano, ha spiegato che in un logica cristiana non soltanto qualsiasi esclusione suona inaccettabile, ma anche un’accoglienza che metta tra parentesi sessualità e affettività, come se questi due componenti non fossero parte integrante della persona. Sulla stessa linea Cristina Simonelli, presidente del coordinamento delle teologhe italiane, che ha a sua volta lamentato un’eccessiva tiepidezza della ricerca teologica e ha parlato di vere e proprie «omissioni della teologia morale», ma anche di quella esegetica, che, a suo parere, ha a lungo dimenticato di interrogarsi sulla sessualità se non per ribadire concetti desunti da quella che ha definito «sessuofobia introiettata».

E, a proposito di castità, ha detto che è sempre opportuno parlarne ma in modo equilibrato, non solo per predicare astinenza ma anche per sollecitare delicatezza e rispetto reciproco. «Serve una purificazione della memoria da parte della Chiesa – ha concluso la teologa – perché oggi troppe persone omosessuali si sentono ancora disprezzate, offese, oppure sono costrette a mimetizzarsi perché considerate sgradite nel loro ambiente ecclesiale ». In precedenza, dopo un saluto in video da parte di padre James Martin – il gesuita redattore della rivista America – avevano offerto la loro testimonianza la predicatrice metodista Greetje Van der Veer, la comunità della parrocchia Regina Pacis di Reggio Emilia e la comunità delle suore domenicane Unione San Tommaso di Firenze che da una decina di anni ospita gli incontri del gruppo Kairos. Da tutti l’auspicio di una «conversione pastorale» in una logica di accoglienza reciproca «sotto lo sguardo benedicente di Dio».

I genitori alle comunità: «Non lasciateci soli»

Alle decine di genitori cristiani con figli omosessuali arrivati per ascoltarlo, il vescovo di Albano, Marcello Semeraro, ha ricordato la bellezza di una generatività che riesce ad accogliere anche in situazioni complesse, inattese, a volte difficili. Quando un ragazzo omosessuale manifesta il suo orientamento –

coming out–

i genitori che lo accolgono e lo rassicurano sul proprio affetto «compiono un atto generativo e rigenerativo».

Allo stesso modo, ha spiegato Semeraro, la Chiesa può dire davvero di amare un figlio «quando lo tiene tra le braccia». Ma si verifica davvero sempre così? Cosa succede in una fami- glia quando un figlio, una figlia, racconta il suo disagio? E qual è il “tasso medio” di accoglienza nelle comunità cristiane nei confronti delle persone lgbt? Le testimonianze dei genitori evidenziano situazioni

tutt’altro che scontate in cui, accanto ad alcune realtà accoglienti, esistono tante esperienze di sofferenza, anni di nascondimento, lunghe attese, interrogativi angoscianti, vissuti intrecciati di timore e di apprensione per il futuro dei figli.

Altro che sguaiatezze e carnevalate da gay pride, come qualcuno aveva inopportunamente definito il Forum di Albano laziale. Nelle intense giornate dell’incontro, coordinato sotto il profilo pastorale da padre Pino Piva, gesuita, referente per la formazione degli accompagnatori ignaziani, si è pregato e discusso, messo in comune esperienze e documenti. Ovunque un clima di compostezza e di misura, consono alla problematicità di una situazione in cui le domande, anche sotto il profilo umano, pastorale e teologico, sono sicuramente più numerose delle risposte.

Anche i gruppi in cui mamme e papà hanno avuto l’opportunità di raccontarsi, hanno condensato tanti interrogativi e tante questioni aperte. Come emerso per esempio dal racconto di due genitori siciliani che per anni sono stati costretti a nascondere le scelte del figlio poi, quando la situazione è diventate esplicita, sono stati invitati in modo più o meno palese a tenersi ai margini dalla comunità. Più con gli sguardi e gli atteggiamento che non con le parole. Soltanto negli ultimi anni, nel nuovo clima di accoglienza voluto da papa Francesco, è stato possibile ricucire i fili di rapporti che – hanno riferito – rimangono comunque complessi, sempre in equilibrio precario.

«E le stesse difficoltà le viviamo sul piano civile». Situazione confermata anche da tanti altri genitori, di diverse diocesi, a conferma che tra Nord e Sud, specialmente nella provincia profonda, le differenze sul piano dell’accoglienza delle diversità non sono poi così nette. Eppure dai genitori con figli omosessuali è arrivata la richiesta di non essere lasciati soli, di essere riconosciuti come fratelli da parte delle comunità, di essere aiutati ad offrire alla Chiesa il proprio impegno e la propria disponibilità.

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