domenica 12 aprile 2009
Il 50° anniversario della morte del parroco di Bozzolo (12 aprile 1959) è occasione per riscoprire la figura di un grande prete, anticipatore del Concilio e definito dal Papa modello per l’Anno sacerdotale
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«Fra cinquant’anni mi darete ragione e direte che le mie idee sono sem­pre state le vostre», così don Primo Mazzolari a don Mario Pasini nel loro unico in­contro in tutta la vita, descritto all’indomani della morte sulla Voce del Popolo. Lo ricordava giorni fa, Anselmo Palini, anticipandoci un nuovo saggio, alla fine della presentazione del suo «Primo Mazzolari. Un uomo libero» nella Libreria dell’Università Cattolica di Brescia mai così piena di gente. È andata proprio così: an­zi ci è voluto molto meno tempo. Perché se è innegabile che la presenza di don Primo sia sempre rimasta viva, magari come fuoco sot­to la brace, grazie ai suoi scritti, alle sue regi­strazioni, i suoi diari, gli epistolari, alle carte d’archivio che ancora consentono di risco­prirlo, proprio la forza delle sue idee profetiche è presto divampata in piena sintonia con quel Concilio Vaticano II annunciato nello stesso anno della sua morte – mezzo secolo fa – e a­pertosi tre anni dopo. Idee che quanto a po­vertà, libertà di coscienza, ripudio della guer­ra, ecumenismo, responsabilità – tra dimen­sione spirituale e civile, consapevolezza cri­stiana e tensione etica – non declinavano mai mera teoria ma si riversavano in pratiche quo­tidiane. Oggi, tornare con la mente a quella domenica del 12 aprile 1959, esige non solo ricordare il congedo dello straordinario arciprete di Boz­zolo, ma anche – se così si può dire – la sua «vit- toria postuma» di «obbedientissimo in Cristo». Vuol dire sì andare con la mente a quel lonta­no tempo di Passione che lo vide – logorato dalle tribolazioni e bruciato dalla febbre – ce­lebrare i riti della Settimana Santa ,poi duran­te la Messa, il 5 aprile domenica «in albis», col­pito da un ictus che gli avrebbe lasciato solo u­na settimana di agonia. Ma significa – soprat­tutto – aprire una riflessione sull’eredità di que­sto straordinario sacerdote che ripeteva «il cri­stianesimo è Cristo» e «il mio impegno è con Lui». Un prete colto, capace di scritti suggesti­vi e di caparbia testimonianza, ingiustamente accusato di «filocomunismo» (smentito dai fat­ti), che solo «in limine vitae» trovò nei suoi con­fronti alcuni gesti di distensione: come l’invi­to nel novembre ’57 da parte dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini a predicare alla Mis­sione di Milano, oppure l’udienza con Giovan­ni XXIII, il 5 febbraio ’59 (ma «La più bella av­ventura » e altri scritti continuarono ad essere censurati anche dopo la morte). Un sacerdo­te, che, a parte il «mazzolarismo» di chi ha di­viso le sue vesti o ne ha rivendicato un mono­polio, ha continuato ad essere «scandalo salu­tare » per tutti: specialmente nel suo auspicio per una «cristianità in piedi di fronte a una ci­viltà prona davanti a tutti gli idoli». Che dire poi del suo amore per la «Parola che non pas­sa », ai suoi occhi «fuoco, fermento, vita»? E di lui che sosteneva: «Se cerco di giustificarmi, col Vangelo, di non amare il mio tempo e di non patire per la sua salvezza, so che bestemmio il Vangelo»? Ecco, perché – ha raccontato mon­signor Loris Capovilla – quando papa Roncal­li ricevette la notizia della sua morte , quel Pa­pa che l’aveva capito commentò: «A soli 69 an­ni il suo cuore ha cessato di battere, non di a­mare ». Ci dovrà essere il tempo – e ci auguriamo che le manifestazioni annunciate quest’anno la permettano – per una rivisitazione storica e­saustiva che ripercorra tappa dopo tappa la sua parabola umana e il dipanarsi della sua voca­zione : le origini contadine, il Seminario, la guerra, il servizio pastorale a Cicognara e Boz­zolo, le conferenze, i libri, la stagione di «A­desso » (giornale che – come ha spiegato bene Mario Pancera in un suo libro – ha cambiato l’I­talia), sino a svelare la sua personalità più profonda o a consegnarci quella biografia com­pleta fondata su criteri scientifici che ancora manca (pur disponendo di buoni profili come quelli di Carlo Bellò, Arturo Chiodi, Mariange­la Maraviglia, ecc.) . E ci dovrà essere spazio per analisi sul suo pensiero teologico ed eccle­siologico, meno indagato di quanto fatto per il pensiero politico. Inoltre sarà interessante an­che vedere come – sull’auspicio di papa Bene­detto XVI – «il suo profilo sacerdotale limpido di alta umanità e di filiale fedeltà al messaggio cristiano e alla Chiesa, possa contribuire a u­na fervorosa celebrazione dell’Anno Sacerdo­tale ». Spunti di riflessione costellano in pro­posito le sue ultime lettere e il testamento spi­rituale: «(...) Eppure, viene l’ora e, se non ho la forza di desiderarla, è tanta la stanchezza che il pensiero d’andare a riposare nella miseri­cordia di Dio, mi fa quasi dimentico della sua giustizia, che verrà placata dalla preghiera di co­loro che mi vogliono bene. Di là sono atteso (...). Verso questa grande Casa dell’Eterno, che non conosce assenti, m’avvio confortato dal perdono di tutti, che torno a invocare ai piedi di quell’altare che ho salito tante e tante volte con povertà sconfinata, sperando che nell’ul­tima Messa il Sacerdote Eterno, dopo avermi fatto posto sulla sua Croce, mi serri fra le sue braccia dicendo anche a me: entra anche tu nella Pace del tuo Signore».
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