venerdì 6 maggio 2016
Le lacrime di una famiglia che ha perso il proprio figlio, suicida. Un uomo costretto a fuggire dalla sua patria perché perseguitato. Un giovane animatore di villaggi turistici che, come il figlio prodigo, si era “perduto” e ha ritrovato la fede grazie alle preghiere della madre e del fratello gemello.
Le storie di chi è stato consolato da Papa Francesco
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La madre: mio figlio si è suicidato, devo a a Dio se non sono impazzita «Antonio ha trascinato in quella tomba anche me, la mia vita, la mia anima». Giovanna, 48 anni, di Salerno, ha raccontato così il dolore per la morte del proprio figlio, suicidatosi 5 anni fa a soli 15 anni. Lo ha fatto davanti al Papa insieme al marito Domenico, con cui è sposata da 21 anni, e agli altri due figli Raffaele e Chiara. Un dolore indescrivibile, ha detto la donna, ma che è stato accompagnato da un aiuto altrettanto ineffabile: «L’amore di Dio si è chinato sulla mia esistenza, ha asciugato tutte le mie lacrime. Questo amore mi ha impedito di impazzire, di distruggere me stessa e la mia famiglia». Giovanna ha raccontato come «un giorno, spolverando la libreria di casa, mi è caduto addosso un libro di Andreana Bassanetti, la fondatrice dell’associazione Figli in Cielo. Mi sono messa in contatto con lei e da quel momento è iniziato un dialogo meraviglioso. Abbiamo incontrato una famiglia spirituale che ci ha spalancato le braccia, persone che accomunate dallo stesso dolore si mettono in cammino ogni giorno, perché l’esperienza di Cristo possa diventare concreta anche nella devastante esperienza della perdita del bene più grande, quella di un figlio». (Andrea Galli)Maurizio: avevo soldi e successo, ma la mia vita era senza senso La ricerca del successo, della bella vita, del denaro. Ma «pur avendo tutto ciò che mi sembrava necessario, mi sentivo non amato, senza un senso per la mia vita». La terza testimonianza è stata portata da Maurizio Fratamico, che con il fratello gemello Enzo, ha raccontato di una vita da animatore nei villaggi turistici, ricca di successo, donne e denaro, ma «priva di senso». E la fede? «Nel mio passato avevo dato spazio a Dio, ma poi mi ero allontanato arrivando persino a rinnegare Gesù. Mia mamma, che ha versato molte lacrime, non ha mai smesso di pregare per me». La svolta nel marzo 2002 quando in preda all’ennesima crisi di senso, «alzai lo sguardo al cielo mentre ero in Africa e chiesi: “Se ci sei fatti vivo”». E quell’incontro arriverà una settimana dopo grazie al fratello Enzo. «Lo vidi pieno di gioia e fece fatica a dirmi che aveva “fatto esperienza dell’amore di Dio”. Lo rifiutai e vidi mio fratello avvicinarsi a me piangendo e dicendomi “ti voglio bene”. Ci ritrovammo abbracciati in ginocchio a recitare il Padre Nostro». Poi l’incontro con l’associazione Nuovi Orizzonti di Chiara Amirante, dove «per la prima volta abbiamo iniziato un cammino dentro al nostro dolore». E ora l’ennesimo gesto d’amore di Dio «nei miei confronti: poter abbracciare papa Francesco». (Enrico Lenzi)Il rifugiato: io cronista perseguitato per il Vangelo in Pakistan Da giornalista in prima linea a rifugiato in Italia. Per un’unica ragione: essere cristiano in un Paese musulmano e raccontare le vessazioni che i “fratelli nella fede” subivano. «Era la mia battaglia. Volevo dare voce alle sofferenze della minoranza cristiana perseguitata», ha raccontato Qaiser Felix, cronista pachistano che è stato costretto a fuggire nella Penisola per salvare la famiglia. La sua è stata una delle tre testimonianze presentate ieri durante la Veglia nella Basilica di San Pietro. «La mia fede era al centro del mio lavoro – ha spiegato davanti al Papa accompagnato dalla moglie e dai due figli –. Ho viaggiato in tutto il Pakistan per far conoscere la difficile vita cui sono costretti i cristiani, discriminati dalla legge contro la blasfemia e spesso vittime di violenze brutali fino all’assassinio». Finché anche lui è finito nel mirino di gruppi terroristici che «consideravano le mie parole un attacco allo Stato e all’islam». Quindi l’addio all’Asia e l’arrivo in Italia dove per due anni ha svolto lavori saltuari. «Ma con il centro Astalli andavo nelle scuole a raccontare la mia storia di rifugiato». Adesso la famiglia vive qui e Felix lavora con la moglie in uno studentato di Venezia. «Nei momenti bui la fede è stata l’ancora di salvezza», ha confidato. E ha lanciato un appello: «Non lasciamo soli i cristiani perseguitati. Hanno bisogno delle nostre preghiere e del nostro aiuto». (Giacomo Gambassi)
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