giovedì 12 maggio 2016
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Sono stati «grandi servitori e apostoli della Vergine di Luján». E, per questo, sono riusciti ad essere autentici testimoni di misericordia per le donne e gli uomini del loro tempo come per quelli attuali. Con queste parole, domenica, l’arcivescovo di Mercedes Luján, Augustín Rezzati, ha dato l’annuncio ufficiale dell’apertura della causa di beatificazione del “nero Manuel” e di padre Jorge Maria Salvaire. Nomi indissolubilmente legati a quello della Patroncita morena, per cui si sono appena concluse le consuete celebrazioni, cominciate domenica con la Messa nella Cattedrale di Buenos Aires, presieduta dall’arcivescovo Mario Poli. E seguite dalle varie Eucaristie, veglie e momenti di riflessione nella Basilica della Patroncita. Così gli argentini chiamano la loro patrona: Nostra Signora di Luján, emblema stesso del Paese. Il suo manto bianco-celeste, secondo la tradizione, avrebbe ispirato la bandiera nazionale. Eppure, la Madonna argentina per antonomasia è “straniera”. Arrivò da San Paolo del Brasile nel maggio del 1630 insieme a Manuel, uno schiavo originario dell’Angola, a bordo della nave del capitano Juan Andrea. Quest’ultimo voleva donare una piccola statua dell’Immacolata Concezione all’amico Antonio Farías Sáa, residente a Sumampa, nell’attuale provincia del nord argentino di Santiago del Estero. Là erano diretti ma, raggiunta la campagna a una settantina di chilometri da Buenos Aires, il carro su cui era adagiata la cassa della Vergine non riuscì a più a proseguire. I buoi non poterono andare avanti fin quando la Morenita non fu scaricata. Là rimase, diventando la prima cittadina ufficiale di Luján, che ora conta 110mila abitanti. Insieme a lei si fermò anche Manuel. Lo schiavo, dopo aver assistito al fatto straordinario, chiese e ottenne dal padrone di poter restare a custodire la Vergine. E così fece, fino alla morte, nel 1686. Fu lui, con le sue stesse mani, a costruire la prima cappella per la Morenita, ad assistere i pellegrini che iniziavano ad arrivare e a raccontar loro la storia di Maria di Luján, a dare una parola di speranza ai malati della zona, ad accompagnare i moribondi. Con la sua fede semplice e schietta, fatta di gesti concreti e silenziosi, l’ex schiavo conquistò l’affetto degli abitanti del paesino. Tanto che, quando il padrone morì e gli eredi lo reclamarono, l’intero villaggio si oppose e pagò per la sua liberazione. «Non ho altra Signora fuorché la Vergine», soleva dire Manuel che, per la sua commovente fedeltà, riposa all’interno dell’attuale Basilica, ai piedi della Madonna. Là c’è anche l’altro grande apostolo della Morenita, padre Jorge Maria Salvaire. Anche lui straniero – era francese – arrivò in Argentina, dopo l’ingresso nella Congregazione vicentina e l’ordinazione sacerdotale, nel 1871. Straordinario evangelizzatore, fu inviato a testimoniare la Buona Notizia fra gli indigeni: quando una tribù ostile lo fece prigioniero, si rivolse fiducioso alla Vergine e, poco dopo, fu rilasciato. Padre Salvaire dedicò, da quel momento, ogni sforzo per promuovere la devozione alla Patroncita, attraverso gli scritti, la predicazione e l’assistenza agli ultimi, ai dimenticati, agli “scartati”. La sua opera toccò profondamente papa Leone XIII che, nel 1887, incoronò Maria di Luján. Fu proprio padre Salvaire a cominciare la costruzione della Basilica che riceve, ogni anno, in media, 9 milioni di visitatori. Perché – diceva l’allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, “innamorato” della Patroncita – «Luján, la tua casa Madre, è casa di tutti». Manuel e padre Salvaire hanno avuto un ruolo centrale nella costruzione di quella “Casa”. Non solo i muri di pietra che hanno custodito nel tempo la Vergine. Bensì, entrambi, sull’esempio di Maria di Luján di cui – ha ribadito l’arcivescovo Radrizzani – «si sono innamorati al primo sguardo», hanno speso la vita per mostrare al mondo la misericordia materna di Dio. E realizzare, in un fazzoletto di terra, una comunità di fratelli. © RIPRODUZIONE RISERVATA ARGENTINA. La statua di Nostra Signora di Luján
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