domenica 28 maggio 2017
Il responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII in occasione dell’Assemblea Internazionale racconta la vocazione dell'associazione fondata 49 anni fa da don Oreste Benzi
Una panoramica della sala che ospita l’assemblea internazionale della Papa Giovanni XXIII (Associazione Papa Giovanni XXIII)

Una panoramica della sala che ospita l’assemblea internazionale della Papa Giovanni XXIII (Associazione Papa Giovanni XXIII)

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Straripa di una gioia strana, in questo fine settimana, il Salone della Fiera di Forlì. Niente merci in vendita, niente business... sempre che per business (quello vero) non si intenda una vita intensa dall’inizio alla fine, densa di obiettivi e di letizia, quella che non si compra ma si conquista, anche a caro prezzo. Lo sanno bene i 5mila che affollano il padiglione, accorsi come ogni anno da tutta Italia e da altri 40 Paesi dei cinque continenti per partecipare a una festa. Siamo all’Assemblea Internazionale della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata 49 anni fa da don Oreste Benzi. Famiglie di tutti i colori e le composizioni, tra le quali è difficile distinguere i figli naturali e quelli accolti in quell’originale 'marasma' che contraddistingue la Papa Giovanni XXIII: «È come il calabrone», amava dire don Benzi, che è tozzo e ha ali piccole, sembrerebbe non poter volare, e invece come si libra...

Paolo Ramonda, lei è responsabile generale dell’associazione da dieci anni, da quando don Oreste è salito al cielo.

E siamo ancora qua a migliaia tra i membri della Comunità e i nostri fratelli accolti: bambini gravemente disabili, anziani soli al mondo, ex tossicodipendenti sulla via della guarigione, ex schiave della strada. È la festa che da 40 anni si ripete, uno spaccato di quel popolo di Dio che non fa notizia, ma tutti i giorni rinnova il miracolo dell’amore di Gesù per gli umili, le persone più candide. Si sta concludendo intanto la fase diocesana del processo di beatificazione di Don Oreste, già servo di Dio. E nel 2018 saranno 50 anni dalla fondazione della Comunità.

Era il 1968, l’anno degli incendiari. Anche l’associazione nasceva incendiaria, e incendiaria però è rimasta.

Certo, perché don Oreste voleva i fatti. Voleva che tutti i bambini allora reclusi nei grandi istituti o negli ospedali avessero una mamma e un papà: queste sono in realtà le nostre famiglie aperte. Lui diceva che da ragazzi si è tutti incendiari, poi però da adulti, quando si è fatta carriera, si diventa pompieri. Noi restiamo rivoluzionari nel senso del Vangelo, ora stanno per partire altre giovani coppie di sposi per Cuba, Capo Verde, Città del Messico, Bangkok per aprire nuove case famiglia. La profezia di don Benzi è attualissima, dare una famiglia a chiunque non l’abbia è la soluzione a tutti i problemi, non solo per gli orfani, ma per ogni solitudine. Con una famiglia guarisce tutto.

I vostri 'figli' infatti hanno tutte le età.

Sono i malati di mente, i senza fissa dimora, i papà separati che non hanno più un tetto e un affetto. Noi li accogliamo tutti. Questa festa a Forlì serve anche a far vedere reciprocamente le meraviglie della condivisione diretta con i bisogni altrui, , 24 ore su 24. Noi non offriamo denaro, viviamo con loro. E’ una festa che genera vita e missione: ieri sera 115 giovani hanno iniziato il cammino vocazionale e 72 persone hanno preso il mandato missionario – il crocefisso – per nuove realtà ad Haiti, Sierra Leone, Israele. Da anni ci siamo aperti anche ai profughi, prima ancora che Papa Francesco chiedesse di dedicare a loro gli spazi lasciati vuoti e sterili, ma il 90% degli accolti sono italiani, anche perché quando prendiamo da piccoli i gravissimi, poi restano tutta la vita con noi.

La sua stessa famiglia è un esempio…

Io e mia moglie Tiziana abbiamo 57 anni ma, oltre ai nostri tre figli naturali (che ci hanno dato 8 nipotini), abbiamo altri 9 'figli', la più anziana dei quali ha 88 anni, è la nonna. Quella che è con noi da più tempo è Miriam, con una gravissima psicosi autistica, arrivata a 8 anni e oggi ne ha 43. L’arrivo più recente è Simona, con sindrome Down, che aveva 6 anni e ne ha 26. Siamo una famiglia, insomma.

Un fenomeno in controtendenza, creato da don Benzi ma tuttora ben vivo.

Lui ci aveva detto che quando sarebbe morto non ci avrebbe lasciati in pace, e sta mantenendo. Siamo persone con tanti limiti, siamo dei poveracci, ma ci crediamo. Crediamo in Gesù e nella Chiesa, vogliamo camminare con i poveri e questo ci consentirà di essere sempre contemporanei alla storia. Come oggi chiede Papa Francesco, don Oreste ci raccomandava di mettere la nostra spalla sotto la croce dei fratelli, ma anche di dire a chi costruisce le croci di smetterla: da una parte condividere, dall'altra rimuovere le cause. Lo facciamo in 40 Paesi del mondo, viviamo nei luoghi di guerra, lì con le vittime. Accogliamo 5mila persone giorno e notte per tutta la loro vita, diamo da mangiare a 41mila uomini e donne ogni giorno nella mensa del mondo. E in tempo di crisi, le nostre cooperative danno un lavoro agli emarginati, perché possano sviluppare i loro talenti e vivere della loro dignità. Il Papa parla spesso di una Chiesa 'incidentata': le nostre comunità hanno tanti cerotti, ma sono vive.

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