mercoledì 19 luglio 2017
Il religioso del Pime, 88 anni, ha fatto ritorno in Thailandia per aprire una nuova comunità
Da sinistra padre Gianni Zimbaldi e padre Piero Gheddo

Da sinistra padre Gianni Zimbaldi e padre Piero Gheddo

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Lo slogan più fortunato di papa Francesco è la Chiesa “in uscita”: noi battezzati, tutti gli enti ecclesiali, diocesi, parrocchie, congregazioni religiose, associazioni laicali, non dobbiamo rinchiuderci nell’ovile di Cristo, ma proiettarci verso l’esterno, come si legge nel 1° capitolo dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium: «Voglio una Chiesa tutta missionaria ». Ebbene si potrebbe definire proprio “un prete in uscita” padre Gianni Zimbaldi, missionario del Pime che è sempre andato fra le popolazioni più lontane e abbandonate, per testimoniare e annunziare Gesù Cristo.

Oggi, a 88 anni suonati, dopo cinque anni che non tornava in Italia, si è preso una breve vacanza perché un benefattore gli ha pagato il viaggio aereo. Il 12 luglio è tornato in Thailandia. Non va Bangkok, dove potrebbe starsene tranquillo, ma sulle montagne e regioni forestali al Nord dove vivono tribali di religione animista. In un ambiente difficile, anche per i profughi che scappano dal Myanmar, proprio quelli che già conosce (ne parla le lingue), tra i quali svolge il suo ministero, con altri confratelli. Padre Gianni dopo l’ordinazione sacerdotale, nel 1953, parte verso gli Usa per imparare l’inglese e nel 1958 è in Birmania, nella prefettura apostolica di Kengtung, resa mitica dagli scritti del beato padre Clemente Vismara.

Arriva a Kengtung nella Pasqua del 1958 che festeggia col prefetto apostolico monsignor Ferdinando Guercilena. Un mese dopo, un maestro cattolico che capiva un po’ l’inglese, lo porta in quattro giorni a cavallo nella missione di Mong Pok, fra i tribali Lahu e Akhà, ai confini con la Cina. Mong Pok era un villaggio fuori dal mondo, senza strade, senza comodità moderne, senza negozi o mercati oltre a quello di villaggio dove si scambiano i prodotti della terra e dell’artigianato. Nella missione c’erano due catechistesuore, vivevano in una capanna di fango e paglia e facevano la cucina in cortile sotto una tettoia. La chiesa era di fango e bambù. «Il mio primo impegno – spiega Zimbaldi – era di studiare la lingua lahu con un maestro cinese che sapeva qualcosa di inglese.

Non c’era nessun libro, solo un quadernetto con l’alfabeto e qualche decina di parole, alcuni opuscoli con le preghiere in lahu e un libro con i quattro Vangeli ridotti in uno solo, composto padre Portaluppi in shan, poi tradotto in lahu e akhà. Mong Pok era a quattro giorni di cavallo da Kengtung, dove si andava in carovana al massimo due volte l’anno per pochi giorni, per fare le provviste». Eppure, aggiunge, «i miei otto anni di Birmania sono stati affascinanti, nonostante la povertà, l’isolamento, i pericoli dei guerriglieri e dei commercianti di oppio, i briganti e le belve feroci, che giravano attorno alla carovana spaventando i cavalli, o attorno al bivacco notturno quando si dormiva all’aperto, per terra su una coperta. La semplicità e la cordialità di quel popolo mi è rimasta dentro, come pure la loro gioia e fede quando il Signore dava loro la grazia di convertirsi».

Questa la vita di padre Gianni sulle montagne e nelle foreste della Birmania orientale, fino al 1966 quando i militari hanno instaurato la dittatura comunista ed espulso tutti i missionari più giovani. Dopo alcuni anni in Italia e negli Stati Uniti, nel 1972 è con due confratelli in Thailandia, per fondare la missione del Pime. I tre pionieri si stabiliscono a Chiang Mai, al Nord del Paese. Dopo un anno di studio della lingua thailandese, il vescovo manda padre Zimbaldi a Fang (150 chilometri a Nord di Chiang Mai) per curare i Lahu e gli Akhà che fuggivano dalla Birmania. Per padre Gianni è come tornare all’antica missione di Mong Pok. Incomincia con la visita ai villaggi per incontrare i cattolici presenti e parlando bene il lahu è accolto ovunque con manifestazioni di gioia. Scopre 65 battezzati e 20 catecumeni. A Fang abitava nella casa della missione abbandonata da 15 anni. Incomincia subito ad accogliere otto ragazzi e sette ragazze lahu che provengono dai monti e frequentano la scuola governativa.

Per le ragazze affitta una casetta dove mette una vedova cattolica con due sue figlie (un figlio è nel Seminario minore a Kengtung in Birmania), che cura le ragazze e fa cucina e lavanderia per tutti. La Provvidenza lo aiuta e in quindici anni la missione di Fang dispone di un vasto terreno sul quale oggi sorgono una grande chiesa e le altre opere della parrocchia. A quel tempo Fang era già chiamata “città”, ma aveva solo 2.000-3.000 abitanti, però era il centro civile e commerciale di una vasta regione con circa 100mila abitanti in maggioranza tribali. Oggi ha circa 10mila abitanti. Con l’aiuto della Provvidenza e di altri confratelli, padre Zimbaldi ha fondato la chiesa a Fang, poi compiuti i 75 anni e date le dimissioni da parroco, è andato per tre anni ad aiutare i confratelli nella missione di Mae Suay, una nuova parrocchia staccatasi da Fang alcuni anni prima. Nel novembre 2009 è tornato a Fang come sacerdote residente, continuando ad assistere pastoralmente le comunità che aveva visto nascere.

Oggi il parroco di Fang è il milanese padre Marco Ribolini, coadiuvato da padre Massimo Bolgan e appunto da padre Gianni, destinato però a intraprendere una nuova avventura missionaria. Il superiore generale del Pime, infatti, padre Ferruccio Brambillasca (già missionario in Giappone), con i suoi quattro consiglieri hanno deciso che il Pime in Thailandia venda la casa regionale e il suo terreno a Bangkok, e con quelle risorse costruisca una nuova casa regionale alla periferia di Chiang Rai, capoluogo di una provincia che è proprio alla frontiera col Myanmar. Così si potranno accogliere e seguire meglio i cristiani tribali che vengono dalla regione di Chiang Rai e dal Myanmar e aiutare la vicina diocesi di Kengtung, evangelizzata dall’IPIME. stituto. Si è scelto Chiang Rai per ragioni strategiche: la cittadina che ha un volo diretto con Bangkok e dovrebbe, in un prossimo futuro, essere sede di una nuova diocesi (staccandola da quella di Chiang Mai). Il Pime ne prepara le strutture. Si è già acquistato il terreno e si inizierà presto a costruire.

Il primo missionario che andrà con altri confratelli ad aprire questa casa sarà padre Gianni Zimbaldi che è stato a Kemgtumg e parla bene le lingue dei profughi e dei thailandesi. Questa la tradizione del Pime, Istituto di sacerdoti non religiosi (cioè senza i voti) ma comunità apostolica di clero secolare, fondata nel 1850 dal venerabile monsignor Angelo Ramazzotti (vescovo di Pavia e patriarca di Venezia) e dai vescovi lombardi, per annunziare Cristo ai popoli più lontani e abbandonati e fondare la Chiesa locale con il clero locale. Nel territorio della futura diocesi di Chiang Rai già lavora dal 1991 anche il Met, l’Istituto missionario thailandese voluto negli anni Ottanta dalla locale Conferenza episcopale. Il carismatico padre Adriano Pelosin, Pime, assiste oggi come superiore i membri di questo Istituto, sacerdoti diocesani e religiose di alcune Congregazioni locali, nel difficile cammino della missione. Essi lavorano attualmente oltre che in Thailandia anche in Cambogia e Laos.

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