venerdì 13 marzo 2015
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La misericordia? «È l’elemento centrale dell’esperienza umana e spirituale di Papa Francesco. Oltre che l’architrave del suo messaggio di speranza per l’uomo di oggi». La sua grande popolarità? «La gente ha compreso che in lui c’è una cattedra dei gesti, che rende visibile e verificabile la dottrina». Le parole chiave del pontificato? «Oltre a misericordia e periferia, la Chiesa povera, la cultura dello scarto e l’attenzione alla famiglia». Nel secondo anniversario dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio, monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano e segretario del C9 (il Consiglio dei cardinali che sta aiutando il Pontefice a riformare la Curia), rilegge con incisive pennellate questi 24 mesi sulla Cattedra di Pietro. E sottolinea: «A 78 anni compiuti, il Papa è ancora capace di sognare e perciò il suo sguardo è puntato sul futuro». Monsignor Semeraro, possiamo dire che è la misericordia la cifra interpretativa di questo Pontificato? Si tratta certo di un elemento centrale dell’esperienza personale e spirituale di Francesco. Come ha raccontato egli stesso, percependo la vocazione al sacerdozio per la prima volta il 21 settembre, festa dell’Apostolo San Matteo, il Papa ha sperimentato la misericordia di Dio su di sé e può testimoniare che lo sguardo di Gesù cambia la vita. Parlando della centralità della misericordia di Dio egli si pone nella grande tradizione della Chiesa. Ci sono testi liturgici che sottolineano come l’Onnipotenza di Dio sia tutta concentrata nel suo essere misericordioso. Né dobbiamo dimenticare l’enciclica di Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, in cui papa Wojtyla scrive che la misericordia è il più stupendo di tutti gli attributi di Dio. Ma perché con papa Francesco la misericordia ha fatto breccia anche nel cuore di chi è lontano dalla Chiesa? Perché la nostra è una stagione in cui maggiormente sperimentiamo solitudini e fragilità: realtà che negli anni del Concilio erano diversamente avvertite. Siamo diventati più tecnologici e potenti, ma abbiamo smarrito le certezze di fondo. Papa Francesco ha compreso questo cambiamento di clima, perché certe realtà della storia si leggono meglio dalla periferia. E si è reso conto che la misericordia di Dio è in grado di dare risposta al desiderio di salvezza che c’è nel cuore di ognuno. Così ne ha fatto l’elemento fondamentale del suo magistero, l’architrave del messaggio che bisogna dare all’uomo di oggi. Che cosa ha aggiunto il secondo anno di pontificato al magistero del Papa? I suoi gesti. In Francesco ci sono una cattedra e un magistero dei gesti, con i quali egli mostra che il Signore è misericordioso, che la Chiesa è simile a un ospedale da campo, che Dio ti tende la mano e si cala nell’umano. Ho ancora negli occhi l’abbraccio in piazza San Pietro a quel malato che aveva il volto sfigurato da un tumore e nelle orecchie il dialogo a Manila con la ex ragazza di strada, che piangendo gli aveva posto la domanda cruciale: «Perché Dio permette che i bambini soffrono? ». Queste icone parlano più dei discorsi. C’è in Francesco anche un magistero delle parole chiave? Sicuramente. E alcune le abbiamo già menzionate: misericordia e periferie, ad esempio. Io aggiungerei il suo sogno-progetto di una Chiesa povera e la lotta alla cultura dello scarto. Il primo non è certo populismo o pauperismo. La Chiesa parla di povertà perché guarda a Cristo povero. Quindi l’opzione per i poveri è una categoria teologica, prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio - insegna Bergoglio - concede la sua prima misericordia ai poveri. E qui troviamo un collegamento forte tra due temi portanti del pontificato. Quanto poi alla cultura dello scarto, c’è la chiara denuncia di una antropologia che guarda all’uomo solo sotto il profilo utilitaristico e che, quando non serve più, lo butta via. Il Papa, che è uomo di desideri e speranze, sogna di ribaltare questa mentalità. E per la famiglia che cosa sogna Francesco? Ce lo sta dicendo in questi giorni nelle sue catechesi in cui non parla della famiglia come concetto, ma delle persone che la compongono: la mamma, il papà, i figli, che sono fratelli e sorelle, e adesso i nonni. Egli vuole che la Chiesa sia fiaccola, cioè una luce che accompagna la famiglia durante il cammino. E perciò, come ha detto nel discorso conclusivo dell’Assemblea di ottobre, chiede di evitare le opposte tentazioni dell’irrigidimento ostile e del buonismo distruttivo. L’immagine di Chiesa che più piace al Papa è quella della madre, che non ha paura di mangiare con il figlio peccatore, vede i problemi, ma aiuta a guardarli nella luce del Vangelo. A proposito di problemi, molto si è detto e scritto sul pensiero del Papa verso l’ipotesi di concedere la comunione ai divorziati risposati. Ma come stanno in effetti le cose? Il problema esiste e non si può far finta che non ci sia. Tuttavia non si può neanche dimenticare il depositum fidei né ricondurre tutto a questo singolo aspetto. Se c’è una questione dei divorziati risposati è perché la famiglia stessa viene messa in discussione. Quindi, risolvere i problemi è più arduo. Anche in altre epoche ci sono state separazioni e famiglie in crisi, ma il contesto faceva riferimento a una diversa antropologia. Oggi il quadro è frantumato dal relativismo etico. E allora concentrare tutto sulla comunione ai divorziati risposati significa fraintendere il problema. Se il Papa ha convocato due Sinodi, è per vedere le cose in una luce più complessiva. Lei è il segretario del C9, che in questo secondo anno di pontificato ha lavorato molto. A che punto siamo? Il Consiglio dei cardinali ha vagliato le diverse proposte e individuato i criteri della riforma: snellimento, semplificazione e razionalizzazione della macchina. L’idea di riunire alcuni pontifici consigli (laici, famiglia e vita da un lato, carità giustizia e pace dall’altro) mi pare sia stata accolta con sostanziale favore sia dai capi dicastero, sia dal Concistoro di febbraio. Potrebbe anche accadere, come è avvenuto per la parte economica, che si vada verso un’attuazione sperimentale. In generale è giunto il momento in cui, alla luce delle proposte concrete, bisogna cominciare a scrivere un testo che avrà bisogno dell’apporto di persone specializzate. I lavori del C9 sono fissati fino a dicembre. Nei prossimi due incontri spero si possa arrivare al dunque, per passare a una nuova fase.
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